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La strana nascita di Nerofumo
Era il 1962, io ero a Roma poco prima di tornare a Milano. Un giornalista aveva scritto un racconto per "Il Vittorioso": "Il domatore di mustang"
ed il direttore mi aveva incaricato di realizzare una illustrazione per
quel racconto e, come si usava allora, feci anche il titolo.
Qualche tempo dopo bussò alla porta della mia casa un frate missionario, si chiamava Padre Adriano e, dopo avermi chiesto conferma se ero stato io a fare l'illustrazione del racconto pubblicato sul Vittorioso, lui mi disse che lo aveva scritto lui e mi disse che io avevo fatto un grave errore: avevo scritto "il cacciatore di mustang" al posto di "il domatore di mustang" (una particolare razza di cavalli). Disse che i mustang si "domano", non si "cacciano"!
Era abbastanza arrabbiato per questo ed io mi scusai spiegandogli che
evidentemente era stata la fretta a farmi sbagliare... Comunque disse
che mi avrebbe perdonato, ma ad un patto: avrei dovuto fare "gratis" una storiella per un giornale che facevano quelli della sua missione (i Missionari Comboniani); questo periodico si chiamava "Piccolo Missionario"; aveva un formato tascabile ed era stampato solo a due colori. Promisi che avrei "pagato"
il mio debito e subito mi misi a preparare una storiella con un
pupazzino semplice semplice, stilizzato al massimo per fare prima... e,
dato che era un nero, lo chiamai "Nerofumo" In questa storia ci misi anche un missionario, amico del personaggio; questo missionario, quasi per... vendicarmi, lo avevo chiamato proprio come lui: Padre Adriano.
Spedii
le tavole e qualche tempo dopo la storia fu pubblicata e ricevetti
subito un pacchetto con la copia del giornale ed una lettera dove Padre Adriano mi disse che la "prima" storia gli era piaciuta moltissimo ed ora mi chiedeva il "seguito", cioè una storia per ogni numero, però queste storie sarebbero state a pagamento. Accettai, anche perchè Padre Adriano
era un tipo veramente simpatico. Era un po' mingherlino, ma con una
forza di volontà incredibile! Si fece amici i miei figli ed ogni volta
che si trovava a passare per Roma, veniva a trovarmi e si portava dietro
un fagottello con il pranzo: era per non disturbare... Nonostante le
insistenze mie e di mia moglie, lui apriva il suo fagottello e si
metteva a tavola a mangiare con noi.
Intanto mi parlava di molti
suoi progetti che aveva in mente di grandi lavori da fare in Africa. Mi
spiegava che uno dei problemi principali per l'Africa (almeno quelle
zone che lui frequentava) era la mancanza d'acqua e lui aveva in mente
di riuscire a realizzare delle grosse cisterne; ma ci volevano molti
soldi. Nonostante
io gli feci notare che era molto difficile convincere la gente a donare
delle cifre enormi, lui mi disse che un giorno o l'altro avrebbe
studiato qualcosa. Quel piccolo fraticello aveva dentro di sè una forza
incredibile e sarebbe riuscito anche a spostare le montagne con le sue
sole mani.
Qualche anno dopo in TV c'era un grosso spettacolo del sabato sera con Adriano Celentano.
Una sera sentii Celentano che parlava di una grossa iniziativa per una
impresa che bisognava assolutamente realizzare in Africa: una grande
cisterna per raccogliere e distribuire l'acqua in un'intera zona.
Bastava che ogni telespettatore versasse il corrispettivo di un mattone
(mi sembra che allora erano 1000 lire) e la cosa si sarebbe potuta
effettuare. Fu un successo incredibile e arrivarono delle cifre molto
superiori a quanto serviva. Si scoprì poi che il tutto era stato
organizzato da Padre Adriano che era andato a trovare Celentano
(magari anche da lui con il fagottello per il pranzo) per convincerlo a
collaborare alla sua idea di raccogliere fondi, grazie alla sua
trasmissione in TV, per costruire gli acquedotti.
Poco tempo dopo,
in TV fecero vedere la costruzione ultimata dell'opera grandiosa e non
basta, dato che i soldi arrivati erano superiori al previsto, Padre Adriano aveva fatto anche altri acquedotti per molti paesi vicini. Padre Adriano
ancora una volta aveva vinto! Quando lo rividi, mi disse che aveva in
mente altre grandi iniziative. Nel frattempo aveva realizzato un film,
tutto da solo: aveva dovumentato com'era "veramente" l'Africa,
molto diversa da quella che ci avevano descritto i bravi
documentaristi... La fame e la miseria si toccavano con mano. Il tutto
però senza grandi drammi: con molta semplicità. Chi voleva capire
capiva...
Un giorno Padre
Adriano venne a trovarmi quando abitavo a Milano ed intanto io avevo
realizzato dei pupazzi in plastilina rappresentanti Nerofumo, il suo
elefantino e il personaggio di "Padre Adriano". Quando gli mostrai
quei pupazzi si entusiasmò al punto che voleva che si pensasse a
realizzare un film a pupazzi animati con Nerofumo. Io "tentai" di
spiegargli che la cosa non era tanto facile, ci sarebbero voluti molti
soldi poichè io non ero in grado di realizzare quel film da solo ed
avrei dovuto chiamare degli esperti. Lui non si preoccupò: i soldi si
troveranno, mi disse. Tu intanto studia il soggetto. Io feci ancora di
più: con una mia piccola cinepresa da 8 millimetri feci delle prove di
animazione e per questo mi aiutarono anche i miei figli. Il risultato
era "abbastanza" buono, ma ovviamente non eccellente.
Pensai
che Padre Adriano forse sarebbe riuscito anche stavolta a risolvere
questo problema per poter realizzare il film di Nerofumo.
Intanto io avevo portato avanti il personaggio "Nerofumo"
per molti anni e quelle storie erano anche state tradotte in molte
lingue, come spagnolo, portoghese ed anche africane. Mia moglie ed anche
i miei figli, soprattutto Stefano, mi avevano aiutato spesso per
studiare i soggetti ed a volte anche per i colori. Questo personaggino,
nato quasi per caso, era diventato uno dei miei personaggi più diffusi
in tutto il mondo! Nel frattempo "Il Piccolo Missionario" ha cambiato nome: "Piemme" e successivamente chiamato "PM", ha un formato più grande ed è tutto a colori.
Beh,
sinceramente a me piaceva di più quando era di piccolo formato e con
due colori, ma la mia voce in questi casi non conta: non mi hanno voluto
ascoltare.
Inoltre, quei missionari hanno una specie di regola:
circa ogni 4 anni cambia il direttore perchè chi era stato lontano,
nelle missioni, torna per un certo periodo in Italia ed ogni volta uno
di questi viene incaricato di dirigere il mensile, solitamente proprio
quando ci si cominciava a capire meglio con un Direttore... Ma la regola
e' questa e bisogna rispettarla.
Io ho collaborato a questo
giornale per molti anni in continuazione, le cifre pagate erano
bassissime, ma ormai l'amicizia con questi simpatici missionari
Comboniani era tale che non lo consideravo nemmeno un lavoro ma una "offerta per le missioni".
Qualche anno fa è arrivato un nuovo direttore, ma, per la prima volta, con lui non sono riuscito ad andare d'accordo. Avevo
consegnato - come al solito da tanti anni - una storia e lui me l'ha
rifiutata perchè avrei dovuto fargli leggere prima il testo; inoltre mi
aveva detto che per le seguenti storia avrei dovuto far vedere prima
anche i disegni a matita. Oltre tutto mi ha disturbato moltissimo
il fatto che, contrariamente al sistema usato con gli altri direttori,
invece di telefonarmi, mi ha scritto una lettera, molto fredda! Ed io
odio questo tipo di rapporti tra i direttori ed i collaboratori.
Da quando faccio questo lavoro non ho MAI fatto vedere i miei disegni a matita a nessun editore o direttore, inoltre i testi, fin dai tempi del Vittorioso,
sono scritti da me senza farli prima leggere alla redazione; uno dei
motivi e' anche quello che, con il mio sistema di lavoro, io spesso
preparo la sceneggiatura proprio mentre sto disegnando... Inoltre, i
miei disegni a matita non sono eccellenti: curo molto di piu' la
fase del disegno in nero e, spesso, molte parti vengono disegnate con il
computer... So di sicuro che ci sono molti altri Autori, anche
famosissimi, che lavorano in questo modo ed usano lo stesso sistema
nei rapporti con i direttori o le redazioni. Ad esempio, in
passato, Jacovitti non aveva MAI fatto leggere i suoi testi e non aveva assolutamente MAI
fatto vedere i disegni a matita prima che venissero pubblicati (tra
l'altro Jacovitti usava un sistema tutto suo di fare i fumetti e non
disegnava mai le sue tavole: si limitava a schizzare delle "tracce"
approssimative, soprattutto per la prospettiva. Inoltre, qualche Editore
provi a chiedere di vedere i disegni a matita a Toppi e sentira' quali risposte si ritrova...
Quindi ho rifiutato: il mio lavoro si prende solo "a scatola chiusa", altrimenti niente. Lui ha preferito il "niente", quindi la mia collaborazione, anche se con dispiacere, è terminata.
Ora
ho saputo che questo direttore è stato sostituito da un altro che non
conosco ancora, ma che non mi ha nemmeno scritto o telefonato: non so se
lui voglia ancora Nerofumo...
E
pensare che molte generazioni di lettori hanno conosciuto questo
personaggino ed hanno scoperto che, dietro quel disegno esssenziale, ci
sono anche dei messaggi positivi, anche a livello mondiale.
Pazienza, se mai vuol dire che, se non lo vorranno piu' pubblicare sul "PM", lo proporrò a qualche altro Editore? Chissà...
Intanto passava il tempo, ma non ricevevo più notizie da Padre Adriano. Quando telefonai chiedendo se sapevano dove fosse finito Padre Adriano mi risposero che era andato in "missione",
ma stavolta per un viaggio molto più lungo degli altri... Così dovetti
dire addio a Padre Adriano, ma il suo ottimismo e dinamismo era riuscito
a trasmettermene almeno una parte.
Avendolo conosciuto bene, sono certo che, "dove si trova ora", starà oganizzando di sicuro qualcosa di veramente grande!...
(25 - segue)
_______________
ULTIME NOTIZIE:
L'amico Remo (http://www.undergroundboy.splinder.com/) mi ha inviato proprio ora un suo disegno con una "libera" interpretazione di Nerofumo. Un disegno che ho veramente gradito e che inserisco qui (con il suo permesso...). Cosa ne pensate? A me è piaciuto molto!
Remo, lo sai che hai possibilità di sfondare anche nel campo umoristico?!
Perogatt - 2 novembre 2005
ULTIMISSIME NOTIZIE:
Proprio oggi ho ricevuto una telefonata dal nuovo direttore del "PM". Uno dei prossimi giorni ci incontreremo e chissa', potrebbe anche darsi che si riparli di Nerofumo. Comunque mi ha fatto molto piacere che mi abbia telefonato e non scritto...
Perogatt - 23 novembre 2005
Hal Foster: Prince Valiant & Perogatt...
Che cosa ha a che fare Perogatt con Hal Foster il grande e famoso artista autore del celeberrimo "Prince Valiant"?
Innanzitutto occorre dire che il "Prince Valiant" (il Italia: "Principe Valiant")
è stato un colosso nel settore dei fumetti americani a partire dagli
anni'40 in poi. Era pubblicato (a colori - grande formato, tipo Corriere
della Sera) settimanalmente sull'inserto dei fumetti dei maggiori
quotidiani Statunitensi dove, a quell'epoca, era conosciutissimo. In
Italia invece non è stato pubblicato molto bene, comunque, diversi anni fa è stata stampata la serie completa, non ricordo da quale Editore.
Hho
potuto ammirare, a casa di un amico collezionista, i disegni originali
del Prince Valiant (in un formato molto grande) e devo dire che erano
veramente delle opere d'arte. Ovviamente lo stile non ha quasi nulla a
che vedere con i fumetti del giorno d'oggi, però bisogna ammettere che
il Principe Valiant è stato un "classico" nel settore dei fumetti.
Io
ho acquistato tutta la serie - in italiano - che poi ho fatto
rilegare ed in famiglia l'abbiamo letta moltissime volte. Anche il
testo era scritto molto bene, curato ed anche molto documentato.
Bene, a questo punto devo dire che io avevo il classico "zio d'America", cioè uno zio che abitava a New York
- emigrato in America negli anni '20 - che aveva una grande ammirazione
per me e i miei disegni. Era orgoglioso di avere in Italia un nipote "artista".
Fin
da quando ero piccolo mi spediva dei pacchi con dentro tutti i generi
di materiali per disegnatori che esistevano negli Stati Uniti; alcuni di
quei materiali non si sono mai visti in Italia, come ad esempio dei
tipi particolari di pennini per creare degli effetti di chiaro-scuro,
pennini anatomici molto comodi (purtroppo, con l'uso, quei pennini si
consumarono; peccato che non ne esistano, nemmeno oggi, in Italia),
degli strani fogli di carta che erano fatti con una speciale
corteccia d'albero, delle boccette di colori speciali (che dopo molti
anni sono arrivati anche da noi: i colori acrilici); io però a quei
tempi non sapevo come usare quel tipo di colori, poi colori a tempera
(da noi erano in vendita nei negozi, ma in quella gamma di colori non
esistevano ancora) e molto altro ancora. Tutto questo mi invogliava a
disegnare sempre di più e sempre meglio ed ogni tanto spedivo a mio zio
alcuni miei disegni.
Una volta gli inviai un mio disegno colorato a tempera
che avevo curato particolarmente bene. Tempo dopo ricevetti una lettera
da mio zio che mi comunicava che il mio pacco con il disegno era
arrivato, solo che nel viaggio, il colore del mio disegno si era
screpolato un po' ed alcuni pezzi se ne erano andati (non avevo
considerato che il difetto dei colori a tempera è che spesso si
screpolano e si staccano dai fogli di cartoncino). Lui era molto
dispiaciuto, però aveva chiamato un suo amico disegnatore, un "certo" Hal Foster,
al quale chiese un favore: ritoccare il mio disegno. Foster lo ritoccò
per bene e mio zio potè così incorniciarlo ed appenderlo alla parete
accanto al disegno che gli aveva regalato il suo amico Foster. Mi spedì
anche una pagina del fumetto che disegnava il suo amico, si chiamava "Prince Valiant". I disegni che vidi erano bellissimi e spettacolari. Allora cercai di informarmi riguardo questo Hal Foster ed il suo personaggio Prince Valiant,
così scoprii che in America era un numero uno nel settore dei fumetti!
Quando l'ho saputo, quasi svenivo dall'emozione: un mio disegno
ritoccato dal famoso Foster! Avrei pagato per poter riavere indietro il
mio disegno solo perchè era stato di certo "migliorato" da un grande
artista, mi sembrava impossibile!
Così mi misi alla ricerca di tutti
i giornali (italiani, ma in special modo americani) dove erano stampate
le tavole disegnate da Foster e cercai di collezionarne il più
possibile.
Seppi che realizzarono anche un film basato sul personaggio Prince Valiant,
ma non riuscii mai a vederlo e non so nemmeno se sia mai arrivato in
Italia. Comunque ho molti dubbi sul risultato: non credo sia possibile
imitare con la tecnica del film e con persone in carne e ossa la
grandezza delle scene spettacolari che Foster disegnava con grande
maestria.
Nel frattempo gli anni passavano ed io cercavo di
migliorare sempre più il mio stile ed ogni tanto inviavo qualche mio
disegno a mio zio che a sua volta mostrava a Foster e gli chiedeva un
parere: mio zio mi riferiva sempre quello che diceva Foster ed io lo
ascoltavo sempre. Poi decisi di fare un disegno proprio dedicato a
Foster: disegnai un mio personaggio e lo spedii a mio zio. Quando gli
arrivò, mio zio disse che era piaciuto molto a Foster, il
quale aveva detto che sarei diventato anch'io un numero uno!
La
corrispondenza con mio zio proseguiva, ed ogni tanto riusciva a
programmare un viaggio per venire in Italia per un piccolo periodo ed io
ne ero felicissimo. Un giorno, durante una delle sue periodiche visite
in Italia, mi venne a trovare presso la mia casa a Roma. Come al solito
gli mostrai i miei disegni ed i giornali dove erano stati pubblicati.
Quella volta mi disse che avrei potuto avere molto successo se mi fossi
trasferito negli Stati Uniti. Così mi offrì di andare in America ed
avrei lavorato subito per una editrice dove lui aveva delle buone
conoscenze ed aveva mostrato i miei disegni; era la "Dell Comics", la più grande editrice americana di albi a fumetti! Unica condizione: dovevo avere la cittadinanza americana. Già, ma non era per niente facile. Lui invece mi rispose che era semplice: "Vieni
in America, ti sposi (per finta) con una mia conoscente ed assumi così
la cittadinanza americana. Poi divorzi e chiami in America tua moglie e i
tuoi figli. Quindi ti risposi con tua moglie. Semplice, no?"...
A
questa proposta io non ebbi nemmeno il tempo di rispondere, mia moglie
si infuriò in modo tale che mio zio ripartì subito dopo e non mi scrisse
per parecchio tempo.
Ovviamente mia moglie aveva ragione, ma con i
miei amici-colleghi ci divertivamo ad immaginare la scena tipo film
italo-americano e ci infilavamo un sacco di battute, ma solo per puro
divertimento. Ne venne fuori una storia che un mio amico mi propose di
scriverla e portarla a qualche produttore. Io mi rifiutai: il tutto,
visto così è divertente, ma c'era di mezzo la mia famiglia, e
poi il rapporto con mio zio che si era rotto e la cosa doveva
rimanere lì.
Ma
dopo molti anni, un giorno finalmente ricevetti una lettera da mio zio
che mi chiedeva scusa: dopo tanti anni che lui aveva vissuto in America,
si era abituato a pensare in maniera "americana" e non aveva tenuto
conto delle reazioni - giuste - di mia moglie. Io lo scusai e riprese
così la mia corrispondenza con mio zio.
Lui mi raccontava i
cambiamenti (in peggio) che stavano avvenendo negli Stati Uniti, la
criminalità che aumentava sempre più di giorno in giorno. Insomma, gli
Stati Uniti non erano più quelli di un tempo. Un po' aveva ragione, ma
mi accorsi che nel frattempo era diventato un po' vecchio e di
conseguenza molte cose lui le ingigantiva anche. Insomma, viveva sempre
più di nostalgia. Qualche volta pensammo di sentirci anche per telefono,
ma dato che i costi di quelle telefonate erano piuttosto alti, dovevamo
riuscire a concentrare i nostri discorsi e spesso ci riuscivamo.
Decidemmo comunque che era meglio continuare a scriverci dove, in
fondo, ci si poteva dilungare come meglio si credeva.
Nelle
lettere mi parlava delle discussioni che lui aveva con la sua seconda
moglie (nel frattempo aveva divorziato ed io non ho mai visto
la sua seconda moglie). Dato che lui fumava - da sempre - il sigaro, con
la grande campagna anti-fumo che c'era stata negli
Stati Uniti (più o meno come c'è ora da noi in Italia, ma da loro era
diventata una vera ossessione), la moglie di mio zio gli aveva proibito
di fumare. Lui si confidava con me dicendomi che lui in casa non fumava
più, ma... aveva iniziato a fare molte passeggiate: lo scopo principale
era quello di poter finalmente fumare senza lo sguardo severo di sua
moglie...
Una volta, però, mi scrisse dicendomi che aveva fatto una
brutta caduta dalla scala interna e gli avevano dovuto ingessare una
gamba, quindi doveva rimanere in casa per un certo periodo.
La
sofferenza maggiore però non era dovuta alla caduta, ma il fatto che in
casa non poteva fumare. Io gli risposi che magari era la volta buona
per smettere di fumare, ma lui mi rispose che "quel problema" lo aveva
risolto: fumava lo stesso affacciandosi alla finestra... Solo che,
quando entrava sua moglie sentiva dell'odore e gli chiedeva se avesse
fumato; mio zio le rispondeva che non era il fumo, ma il "profumo al tabacco"
che da un po' di tempo usava... Non so se sua moglie avesse capito che
quello era solo un trucco, ma so che mio zio si divertiva molto a fare
quelle "marachelle" (così lui le chiamava).
Poi la corrispondenza con mio zio si interruppe ed io gli scrivevo, ma non ricevevo risposta.
Un
giorno però ricevetti una lettera da sua moglie dove mi comunicava che
mio zio era stato molto male e poi se ne era andato, stavolta per
sempre. Lo so, mio zio era ormai diventato piuttosto vecchio, ma quella
notizia mi rattristò moltissimo anche perchè sapevo che una buona dose
dell'entusiasmo che io mettevo nel fare i fumetti era dovuto anche ai
consigli e gli sproni di mio zio.
Resta il fatto che io, che ero un
fumatore incallito, ci pensai molto ed un giorno decisi di smettere
completamente di fumare e, anche se con molta fatica, sono riuscito
a liberarmene completamente: sono tornato a sentire meglio i profumi ed
il mio studio ha un odore ed un colore migliori!
Beh, ora mio zio
se ne starà tranquillo su una sua nuvoletta con il suo sigaro senza
nessuno che lo sgridi. Oppure è arrivato il divieto del fumo anche lassù?...
(24 - segue)
Asterix, Uderzo ed io...
Era atteso da tempo il nuovo albo di Asterix, il famoso piccolo gallico creato da Goscinny (testi) e Uderzo (disegni) è finalmente è arrivato: uscito pochi giorni fa in Francia, il 18 ottobre esce anche in Italia!
Il nuovo albo si chiama ''Quando il cielo gli cadde sulla testa'' ed è il trentatreesimo volume della serie delle avventure di Asterix.
In
pochi giorni, nonostante le critiche non proprio ottime, in
Francia sono già state vendute 400.000 copie - su 3 milioni
previste in totale nei paesi di lingua francese.
E
in Italia? Avrà il solito successo di sempre? Oppure ci sarà il
previsto calo dovuto al fatto che negli ultimi tempi si leggono un po'
meno libri, ma soprattutto quelli con i fumetti, e poi anche
alla reazione di chi avrà letto gli articoli finora usciti dove i
critici non ne parlano tanto bene. Diciamo che più che altro le critiche sono per i testi: dopo la scomparsa di Goscinny, Uderzo ha pensato di continuare la serie di Asterix
e fare tutto da solo, ma lui è un bravissimo disegnatore,
ma non ha la grande vena inimitabile di Goscinny. I disegni
comunque restano più che ottimi, dicono sempre i critici.
Io penso
che converrà comunque leggere anche questo albo, anche se a dire la
verità, gli ultimi usciti mi hanno un po' deluso: non era più lo stesso
Asterix; le storie erano un po' più fiacche, ma ho seguitato comunque a
comprali perchè resta il fatto che i disegni sono sempre più che
gradevoli. Nel frattempo ho appreso che nel nuovo albo si parla di extraterrestri e sembra ci sia anche una parodia degli Stati Uniti di Bush. Beh, vuol dire che sarà un motivo in più per leggere questo ultimo albo di Asterix.
Ma devo dire che per me c'è un altro motivo in più per acquistare gli albi di Asterix...
Anni fa (intorno agli anni '80) anche io ho avuto a che fare con Asterix. Sì, ho avuto un permesso speciale da Uderzo di poter disegnare Asterix per la grande campagna pubblicitaria della "Plasmon" per l'Italia.
Così ho realizzato una serie di fumetti di vari formati e vari tipi,
grandi poster pieni zeppi di ambienti e personaggi che si trovano nella
serie di Asterix, gadget vari (compresi i "trasferelli di Asterix", i "Trasferix"), diversi piccoli albi e poi anche qualche copertina e paginoni per il Giornalino dove ho anche realizzato diverse grandi illustrazioni.
Devo
dire che all'inizio ero entusiasta, ma poi, lavorandoci, mi sono
accorto che i fumetti di Asterix sono sempre strapieni di particolari,
tanti che c'è veramente da diventare matti... Ma ho fatto ugualmente
molto volentieri quei disegni perchè sono molto divertenti e poi,
disegnandoli, si scopre quanto Uderzo studi moltissimo l'anatomia dei
vari personaggi!
Approfitto per dare un suggerimento a chi si sta
addentrando nel magico mondo dei fumetti: provare a "copiare" alcune
vignette da un albo di Asterix, poi mettere da parte gli albi ed i
disegni fatti e provare a disegnarli "a memoria": è un piccolo esercizio
di disegno che può essere utile, indipendentemente dal proprio stile.
In quel periodo aveva avuto anche una stretta corrispondenza con Uderzo
(purtroppo non l'ho mai conosciuto di persona, ma ci siamo sentiti solo
per lettera). Io dovevo inviare i miei disegni ad Uderzo per farglieli
approvare e lui molto spesso si congratulava con me. Ovviamente la cosa
mi riempiva di orgoglio: ricevere i complimenti da un "maestro"
fa sempre piacere, no? Una volta mi scrisse una lettera per avvertirmi
che aveva pensato di modificare un pochino il disegno di Oblelix (il "grosso"
amico di Asterix): le sue proporzioni erano cambiate. Chi legge penso
non si sia tanto accorto del cambiamento di questo personaggio, ma io
sì. Uderzo mi mandò una serie di studi di Obelix
facendomi vedere in che cosa consistevano le modifiche. Si trattava di
una modifica per me sostanziale, in meglio, dato che ora Obelix era più proporzionato e la sua anatomia era migliore, di conseguenza era molto meno "pupazzetto" e più personaggio.
Così
mi adeguai subito e scoprii che, cambiato in questo modo, per me era
anche più facile da disegnare perché bastava rispettare delle "regole" anatomiche base.
Quando
Uderzo vide i miei disegni con il nuovo Obelix mi rispose che
avevo compreso perfettamente qual era lo spirito che lui intendeva
riguardo al suo personaggio (che tra l'altro mi ha confidato di amare
"forse" un pochino di più di Asterix....
Diverso tempo dopo, quando ebbe termine il contratto che la "Plasmon" aveva firmato per l'esclusiva, io dovetti a malincuore terminare la realizzazione dei fumetti (e tutto il resto) di Asterix.
Qualche tempo dopo feci un ennesimo trasloco (vedi una apposita puntata del "PeroBlog"
su questo argomento...) e, dopo aver aperto gli scatoloni nella nuova
casa, scoprii che quelli dei traslochi mi avevano perso un gruppo di
scatoloni che io avevo diligentemente numerato e scritto anche i vari
contenuti. Così scoprii che tra le varie cose che mi mancavano, erano "spariti" anche tutti i disegni originali (schizzi, studi) che Uderzo aveva fatto apposta per me. Una perdita incalcolabile ed irrimediabile!
Quelli
dei traslochi, quando ho detto loro il danno che mi avevano causato, si
limitarono a chiedere scusa e farmi un piccolo sconto sulla cifra
pattuita. Ma non esiste cifra al mondo per la perdita di quei disegni!
Ci ho sofferto tanto ed ho sempre sperato di riuscire, un giorno o l'altro, ad incontrare Uderzo e sperare che mi disegni apposta per me un "Obelix". Chissà...
Immagini: (C) Copyright 2005 Les Editions Albert-Renè/Goscinny-Uderzo
(23 - segue)
Vie a fumetti
Ormai da alcuni anni a Milano è stata indetta dalla "Borsa del Fumetto" (una delle più note fumetterie) la "Festa del Fumetto"
- che si svolge una volta all'anno in concomitanza con una
manifestazione organizzata dal Comune di Milano dove tutti i
negozi rimangono aperti, per un giorno, tutto il giorno fino a
notte fonda); nella Festa del Fumetto i
disegnatori si prestano - gratis - per tutta una giornata a fare
autografi, ma soprattutto disegni, ai numerosissimi passanti:
adulti, giovani e bambini. La manifestazione ha avuto moltissimo
successo e la folla diventa sempre maggiore.
Ma non basta, Nessim Vaturi, titolare della "Borsa del Fumetto", ha avuto anche un'altra idea: ogni anno, in Viale Tunisia (una delle vie più conosciute di Milano), vengono appesi ai lati della via dei tabelloni che rappresentano i più noti personaggi dei fumetti, come ad esempio, Diabolik, Martin Mistére, ecc. In questo modo, il Viale Tunisia è diventato il "Viale dei fumetti"!
Roma
non voleva essere da meno... ed ho saputo che in questo periodo sta
nascendo una nuova zona e, una volta tanto, i nomi delle vie non sono a
base di eroi, matematici, musicisti e così via, ma una volta tanto hanno
i nomi di fumettisti famosi italiani scomparsi nel passato ed anche, molti, in anni recenti. Così in quella zona - che è ancora in parte in via di costruzione - leggiamo:
VIALE GIANLUIGI BONELLI, LARGO GUIDO BUZZELLI,. LARGO ERIO NICOLO', LARGO BRUNO ANGOLETTA, VIA FRANCO BONVICINI, PIAZZA ANDREA PAZIENZA, LARGO DINO BATTAGLIA, VIA ANDREA LAVEZZOLO, LARGO SEBASTIANO CRAVERI, VIALE HUGO PRATT, PIAZZA ATTILIO MUSSINO, LARGO WALTER MOLINO, LARGO SORELLE GIUSSANI, PIAZZA FEDERICO PEDROCCHI, VIA RINO ALBERTARELLI, LARGO GUIDO MARTINA, VIA FRANCO CAPRIOLI, LARGO CARLO COSSIO, PIAZZA BENITO JACOVITTI, VIALE AURELIO GALLEPPINI, VIA ROBERTO RAVIOLA, LARGO FRANCO BIGNOTTI, VIA RINALDO D'AMI
ed altri nomi che seguiranno man mano che le nuove vie saranno pronte.
Per saperne di più conviene andare a dare un'occiata all'apposito sito: www.mezzocammino.it/viabilita/viabilita.html dove c'è la piantina della zona, l'elenco completo delle vie e le foto delle targhe.
Questa è proprio una bella iniziativa: finalmente anche i fumettisti hanno un degno rinonoscimento!
Molti nomi, qui sopra elencati, sono famosissimi, altri lo sono un po' meno, ma si tratta comunque di grandi del fumetto. Ad esempio: GianLuigi Bonelli è stato l'inventore di Tex (ora lo continua il figlio Sergio), Guido Buzzelli è stato un grande disegnatore veristico, Bruno Angoletta se lo ricorderanno le persone di una certa età: era l'autore di "Marmittone" sul vecchio Corriere dei Piccoli, Franco Bonvicini non è altro che il vero nome di Bonvi, Andrea Pazienza: chi non ha mai visto dei suoi fumetti?, Dino Battaglia: un altro grande del fumetto di qualità, Sebastano Craveri: ha creato una serie di famosi personaggi - tutti animali - per il Vittorioso, Hugo Pratt: tutti sanno che grande artista è stato (vedere anche una delle puntate precedenti del mio PeroBlog), Attilio Mussino aveva illustrato molti personaggi famosi per il Corriere dei Piccoli negli anni '30, Walter Molino aveva realizzato delle splendide copertine per la "Domenica del Corriere", Sorelle Giussani: le creatrici del famosissimo Diabolik, Federico Pedrocchi: è stato colui che per primo ha realizzato in Italia il giornale di Paperino scrivendo e disegnando anche alcune storie, Rino Albertarelli era stato uno dei più grandi fumettisti italiani, Guido Martina è stato uno dei più grandi sceneggiatori di fumetti (ha anche sceneggiato delle bellissime storie per Topolino), Franco Caprioli - detto anche "quello dei puntini": ne parlerò in una delle prossime puntate del PeroBlog, Carlo Cossio: uno dei più noti disegnatori di fumetti degli anni '40/50, Benito Jacovitti (ne ho parlato a lungo in questo PeroBlog; da notare che qui è chiamato Benito Jacovitti, ma lui ci aveva sempre detto che si chiamava Franco Jacovitti ed Benito
era il suo secondo nome che gli aveva messo suo padre evidentemente
ammiratore di Mussolini, quindi non so come mai per il nome della targa
abbiano scelto Benito), Aurelio Galeppini: il grande disegnatore di Tex!, Roberto Raviola (conociuto meglio come "Magnus"), Rinaldo D'Ami è stato uno dei più bravi disegnatori di fumetti conosciutissimo in Italia, ma soprattutto in Inghilterra.
Ho visto che, tra i nomi delle vie, c'è anche quello di Sebastiano Craveri.
Bene, quando anni fa mi avevano invitato a Carmagnola, in Piemenote, la
città natale di Craveri per una mostra di disegni di questo grande
Autore, durante il discorso che io feci, in Comune, proposi che a
Carmagnola venisse intitolata una via a Sebastiano Craveri. Il sindaco
di allora aveva detto che quella era una bella idea, ma non era facile
da realizzare: la "burocrazia" comunale non permetteva che nei
nomi delle vie potessero apparire dei disegnatori di fumetti. Io ci
rimasi molto male. Per colpa della "burocrazia" non potevano dare
un segno della loro riconoscenza verso un loro concittadino che si era
fatto onore in tutta Italia! Non so se poi, magari con un altro Sindaco,
a Carmagnola abbiano messo la targa di una via dedicata a Sebastiano
Craveri, comunque, per fortuna ci ha pensato Roma. Ma che rabbia questa
maledetta "burocrazia"!
Comunque, mentre parlavo dei nomi delle vie a Roma dedicate ai fumettisti, un mio amico, dopo aver letto l'elenco mi ha detto: "Come mai tu non ci sei?" Io ho toccato subito legno, ferro, e... qualcos'altro... e poi gli ho fatto notare che, fino a prova contraria, io sono vivo!... :)
(22 - segue)
Storie di FANTASMI o quasi...
Il fantasma di Lucrezia Borgia
A
Roma, negli anni '60, c'erano molte trattorie e pizzerie e noi
disegnatori le conoscevamo quasi tutte. Beh, conoscevamo molto bene
anche i locali dove si potevano trovare a qualsiasi ora i "supplì",
delle gustosissime prelibatezze romane, una specie di polpette di riso
con ragù ed al centro la mozzarella: i supplì venivano fritti e serviti
caldi; mi sembra molto strano che si trovino spesso gli "arancini", ma non i "supplì" nel resto d'Italia!
Una sera, tanto per cambiare, noi del gruppo di disegnatori del Vittorioso che eravamo anche vicini di casa, io, Giovannini, Landolfi e Zeccara
(vedere altre puntate precedenti riguardo questi disegnatori),
decidemmo di andare a cena in un ristorante che non conoscevamo ancora
ma ci aveva attratto il nome: "Lucrezia Borgia". Un ristorante con un nome così famoso chissà quali "segreti" conteneva...
Fatto
sta che prenotammo i posti ed all'ora fissata entrammo nel ristorante. I
proprietari ci accolsero con molto entusiasmo e ci indicarono il nostro
tavolo.
Con nostro stupore, però, scoprimmo che nel ristorante
c'eravamo solo noi. Non osammo chiedere ai proprietari il motivo, ma la
cosa non ci piaceva: un ristorante senza clienti non ci piaceva e ci
dava un'idea di qualcosa di poco buono. Ma ormai eravamo lì e decidemmo
di restare.
Il menù era scritto in maniera quasi medioevale ed anche
i nomi dei piatti erano un pochino in quello stile. Così ordinammo dei
piatti dai nomi strani che ci risultavano incomprensibili, però ci
piaceva l'idea della sorpresa.
Mentre attendevamo
l'arrivo delle pietanze, approfittammo per dare un'occhiata al locale:
era in stile medioevale, ma non riuscivamo a capire bene se era "autentico"
oppure si trattava di una imitazione. Non osammo chiedere informazioni
ai proprietari e forse lo facevamo perché in fondo ci piaceva l'idea di
mangiare proprio in un locale anticamente frequentato dalla famosa Lucrezia Borgia...
Bisogna sapere che Lucrezia Borgia
è diventata famosa anche perché si dice che avesse fatto avvelenare
diversi suoi ospiti. Ma non sapevamo se la cosa fosse vera o se si
trattasse di una leggenda...
Per quanto riguarda le
varie portate posso dire che non erano un gran chè e, quando finalmente
terminammo la cena, chiedemmo il conto e facemmo una sorpresa: in
effetti lì ci avevano "avvelenati"... cioè il conto era talmente
caro che era come se ci avessero avvelenati. Riuscimmo a racimolare la
cifra necessaria ed uscimmo piuttosto arrabbiati.
Mentre eravamo in
strada seguitavamo a commentare ed a lamentarci di quel ristorante. Dopo
pochi passi qualcuno di noi cominciò a dire che non si sentiva tanto
bene, che aveva dei dolori di pancia... Ci venne così il sospetto che ci
avessero "avvelenati" veramente! Magari era tutta una
suggestione, ma facemmo tutti ritorno a casa per berci una camomilla ed
andare a dormire prima del solito, ma tutti con una decisione: non
saremmo di certo più tornati in quel ristorante: il "fantasma" di Lucrezia Borgia aveva colpito ancora...
La villa dei fantasmi
Quando
ero giovane, nelle vicinanze di Senigallia (Ancona) c'era una villa che
la gente non osava nemmeno nominare e tantomeno avvicinarsi poiché si
diceva che fosse abitata dai "fantasmi"... La gente diceva che da quella villa si sentivanoIo provenivano degli strani rumori e delle urla.
Io ed un mio amico ci rifiutavamo di credere ad una "favola" simile e decidemmo di sfidare i "fantasmi":
un giorno ci organizzammo e, in compagnia di altri amici, ci procurammo
delle torce elettriche e ci dirigemmo alla volta della "villa dai fantasmi".
Giunti nei pressi di quella villa ci fermammo per studiare bene il da
farsi. Intanto approfittammo per mangiarci i panini che ci eravamo
portati dietro: i fantasmi non hanno fame ma noi sì...
Mentre stavamo gustandoci i panini, ci sembrò di sentire delle voci, una specie di "lamenti"
provenire da quella villa. I nostri amici cominciarono ad avere paura e
proposero di fare ritorno. Ma io e il mio amico ormai eravamo decisi:
bisognava entrare dentro quella villa e vedere se quei "fantasmi" avevano il... coraggio di manifestarsi a noi.
Nonostante
i nostri amici ci consigliassero di rinunciare a quel progetto, noi due
ci incamminammo ed entrammo dentro la villa. Dentro trovammo molto
disordine, polvere e ragnatele ovunque. In terra c'erano molti vetri
rotti. Girammo per tutte le stanze, ma di fantasmi nemmeno l'ombra. Così
decidemmo che avremmo potuto uscire tranquillamente. I nostri amici,
quando ci videro uscire ancora"sani e salvi", ci salutarono esultanti:
eravamo i "sopravvissuti"! Così facemmo ritorno verso casa.
Sapemmo in seguito che la gente dei paraggi della "villa dei fantasmi"
non avevano più sentito rumori o urla: da quel giorno solo silenzio. Si
era sparsa la voce che noi due avessimo fatto scappare i fantasmi, ma
noi sapevamo che i fantasmi non c'erano. Oppure sì?...
Fantasmi nel castello
Durante
l'estate, per diversi anni, assieme ad alcuni miei amici, avevo fatto
il direttore di colonia ed un anno capitò che ci fu assegnato un
bellissimo castello situato nelle colline del Lazio dal nome
particolare: "Rocca Sinibalda". Io sono sempre stato amante delle grotte e dei castelli, quindi si può immaginare con quale entusiasmo ci andai.
Era
un bel castello ed era fatto a forma di aquila, solo che l'aquila si
poteva vedere solo volandoci sopra, ma quel castello è stato costruito
nel 1530, quindi non si capisce bene come mai abbiano pensato di dargli
quella forma vista dall'alto...
Quando ci andammo noi il castello
era quasi abbandonato ed era stato appositamente restaurato, almeno in
parte; comunque, dentro le sale - quasi spoglie, con pochissimi mobili -
c'erano delle belle sale che avevano adattato per l'occasione per poter
ospitare la colonia, quindi alcune sale erano state utilizzate per
farci i dormitori e quasi tutto il cortile era stato adibito a lavandini
per far lavare i ragazzi. Noi che dirigevamo la colonia avevamo a
disposizione delle antiche camere da letto, queste ancora quasi intatte,
alcune con i letti dell'epoca. La mia camera aveva un privilegio in
più: il letto era a baldacchino e, quando andavo a dormire, mi sembrava
di essere un signorotto dell'epoca. Gli altri non avevano voluto quella
stanza perché c'era un piccolo particolare: sul soffitto c'erano dei pipistrelli! A me non hanno mai fatto paura i pipistrelli, quindi non avevo trovato nessun problema a dormire in buona compagnia :-)
Il
pomeriggio, quando i ragazzi arrivarono, demmo subito le istruzioni per
il comportamento durante quelle vacanze: l'ordine e la disciplina erano
alla base di tutto. Io poi feci anche un particolare discorso. Dato che
nel castello esistevano ancora alcuni oggetti di valore, come ad
esempio delle antiche armi, come le alabarde e le lance,
occorreva assolutamente non toccarle! Inoltre avvertii che il dormitorio
era fatto per dormire, quindi non si accettavano scherzi di nessun
tipo. Data la buona notte ai ragazzi, io ed un mio amico ci mettemmo
d'accordo su uno scherzo che avremmo fatto più tardi.
Infatti,
quando era ormai notte e tutti dormivano, ci mettemmo delle lenzuola
addosso e ci mettemmo a girare per le stanze del castello emettendo
delle grida "strane".
Ovviamente i ragazzi si erano
spaventati e noi due, toltici di nascosto le lenzuola, arrivammo con
aria da rimprovero dicendo che "qualcuno" si era divertito a fare i "finti fantasmi"
ma quella avrebbe dovuto essere stata l'ultima volta: nel castello non
erano permessi simili scherzi! Infatti da quella notte non ci furono più
scherzi... Ma noi due ci eravamo divertiti un mondo: erano anni che
sognavamo di poter fare una scena simile.
Nel castello c'erano
anche le cantine (in alcuni punti crollate e difficilmente
visitabili) e la grante terrazza in alto, con tutti i "merli" attorno,
solo che ci potemmo andare pochissime volte dato che quel punto era
visitato da pericolosissime vipere...
Un
giorno venne a trovarci un gruppo di disegnatori del Vittorioso per
farci una sorpresa. Quando i ragazzi seppero di chi si trattava (Landolfi Giovannini e Zeccara) i disegnatori furono accolti con grande entusiasmo perché quasi tutti leggevano i loro fumetti.
Trascorremmo una giornata piacevole ed i disegnatori dovettero fare molti disegni ed autografi per i ragazzi.
Diversi anni dopo, un giorno parlando con Landolfi del bel periodo di quando era stato a Rocca Sinibalda
e di quando loro tre erano venuti a farci una sorpresa, lui mi disse
candidamente che anche lui si era divertito molto anche perché aveva
avuto modo di procurarsi una alabarda del castello.
Io gli dissi che ovviamente stava scherzando: quelle alabarde non dovevano essere toccate! Ma mi fece subito vedere l'alabarda che si era portato via come souvenir...
Mentre stavo scrivendo questi appunti, ho fatto una ricerca su Rocca Sinibalda
e ho scoperto che quel castello è stato completamente
restaurato ed ora è diventato un luogo turistico da visitare, ma
soprattutto (ahi ahi...) trasformato in un albergo e sale da riunioni e
feste. Ho visto alcune foto e devo dire che, anche se mi fa piacere che
il castello non sia stato abbandonato, mi dispiaceva un po' che ora ci
fossero dei turisti e poi, sicuramente i quadri e gli arazzi alle pareti
e tutta la mobilia erano probabilmente delle buone "imitazioni". Una cosa sola ho pensato: chissà se avranno fatto caso che lì dentro mancava un'alabarda?...
L'Editore fantasma...
Intorno
agli anni '60, a Roma, un nostro amico che faceva solitamente il
grafico - impaginatore, chiamò un gruppo di disegnatori, per la maggior
parte del gruppo del Vittorioso (vedi qualche puntata precedente
su questo mitico periodico), fra i quali io, per conto di un Editore
(non scrivo il nome perché sembra che quella persona sia ancora
indagata) che aveva progettato l'uscita di un nuovo albo periodico. Il
giorno fissato, ci ritrovammo tutti presso i lussuosi uffici di questo
nuovo Editore; questi ci parlò del nuovo periodico che si sarebbe
chiamato "XY" (non scrivo il nome vero per il motivo di cui
sopra) ed ognuno di noi era incaricato di realizzare un certo numero di
pagine con vari personaggi a fumetti. Così, una volta fissate le cifre
dei compensi e le date di consegna, ci mettemmo tutti al lavoro con
entusiasmo e, man mano che le tavole erano pronte, le andavamo a
consegnare.
Uscì finalmente il primo numero di "XY" ed il risultato
era abbastanza buono, anche se non eccellente: del resto le cifre che
l'Editore aveva fissato per noi disegnatori non erano molto alte, quindi
ognuno faceva il lavoro in maniera "decente" ma ovviamente non "eccellente".
Il
tempo passava e ciascuno di noi consegnava le tavole richieste ed i
primi numeri di "XY" avevano avuto un discreto successo, basato
soprattutto per la presenza di nomi quasi tutti molto conosciuti.
Però
nessuno di noi aveva ancora incassato niente per il lavoro fatto. Così,
chiedemmo all'Editore di pagarci almeno una parte del lavoro fatto.
Lui, con un grande sorriso, ci spiegò che il mondo dell'Editoria era
fatto in quel modo ed i soldi arrivavano dopo un certo periodo dato che
prima l'edicolante paga il distributore e poi questi paga l'Editore, il
quale infine paga i collaboratori; per tutta questa trafila occorre del
tempo. Comunque ci propose di pagarci con delle "cambiali".
Noi non avevamo la minima idea di che cosa si trattasse, ma lui ci
disse che si vedeva che siamo dei disegnatori e non imprenditori: il
mondo degli affari va avanti proprio grazie alle cambiali! "Le cambiali sono come il denaro corrente":
avremmo incassato le cifre scritte sulle cambiali nel giorno fissato.
Noi non eravamo tanto convinti, ma accettammo comunque quelle
"cambiali": meglio di niente, no?
Ognuno di noi portò le cambiali in
Banca dove ci dissero che avremmo dovuto attendere diverso tempo, dato
che sulle cambiali c'era scritto che avremmo potuto incassare la cifra
scritta solo il giorno fissato. Aspettammo con impazienza quel giorno ma
poi in Banca ci dissero che quelle cambiali non erano state pagate
dall'Editore e di conseguenza la Banca non poteva darci niente.
Dopo
l'uscita del quarto numero del periodico, organizzammo un incontro fra
di noi collaboratori per studiare il da farsi. Decidemmo che era il caso
di andare tutti assieme a parlare con l'Editore: o ci pagava subito
oppure avremmo smesso di consegnare le storie fissate.
Ma, quando
giungemmo nel palazzo dove c'era quell'Editore, il portinaio ci fermò
chiedendoci dove andavamo e, quando gli dicemmo che andavamo dal
"nostro" Editore, il portinaio ci disse che in quegli uffici non c'era
nessuno da diversi giorni. Rimanemmo allibiti nell'apprendere questa
notizia. "Ma non è possibile! Noi vogliamo andare a vedere!" Il
portinaio aprì la porta e la nostra meraviglia fu al massimo quando
vedemmo che dentro non c'era più niente: niente mobili, niente scaffali,
niente disegni... Insomma: l'Editore era sparito! Se ne era andato portandosi via tutto!
Ce
ne uscimmo tutti inebetiti e non sapevamo più che cosa dire e che cosa
fare. Qualcuno disse che magari l'Editore si era trasferito da un'altra
parte, ma dopo alcuni giorni ci convincemmo che eravamo stati tutti truffati!
Con
molta rabbia addosso, ognuno di noi era tornato al solito lavoro,
quando dopo qualche mese, lo abbiamo visto in TV mentre consegnava dei
premi ai Vip... (non voglio scrivere il nome di quel "premio" dato che esiste tutt'ora).
Ci
riunimmo di nuovo tutti assieme per denunciare quell'Editore, ma ci
dissero che non era possibile perseguirlo dato che l'Editrice non era
stata fatta a nome suo, ma a nome di sua moglie. Increduli, tentammo in
tutti i modi di cercare di capire come funzionava la giustizia in Italia...
Ma tutti ci dicevano che dovevamo rassegnarci: purtroppo in quel periodo di avventure simili ne erano capitate tante.
Questa
storia sembrerebbe terminata, vero? Ebbene no: dopo qualche tempo,
strombazzata da una grossa pubblicità, uscì nelle edicole una nuova
rivista (non posso scrivere il nome di quella rivista per i motivi di
cui sopra) e scoprimmo che la titolare di quell'Editrice era proprio la
moglie dell'Editore che ci aveva truffati! Stavolta ce l'avremmo fatta a
recuperare i nostri soldi, pensavamo, ma... ci sbagliavamo di grosso.
I
due truffatori avevano sistemato le cose in modo tale da aggirare la
legge ed evitare di essere perseguiti per il non aver pagato noi
collaboratori: la nuova società aveva un altro nome. Insomma, per noi la
cosa era ormai diventata incontrollabile.
Teniamo presente che, se fosse capitato al giorno d'oggi "forse"
sarebbe stato più facile riuscire a recuperare almeno una parte del
denaro dovutoci, ma a quei tempi le leggi erano ancora un po' confuse ed
incerte, inoltre la voce "fumettisti" non esisteva nella legge italiana. Una domandina: ma la voce "fumettisti" esiste oggi? Mah.
Comunque stavolta dovemmo rassegnarci: l'Editore fantasma aveva colpito e di brutto!...
(22 - segue)
Diabolik, Horror, Tilt, Pratt...
Anni
'70. A Milano c'era un fermento nel mondo fumettistico: nascevano
nuove riviste, uscivano allo scoperto nuovi Autori, insomma, cera molto
entusiasmo. In quell'atmosfera era "quasi" naturale che nascesse "Horror",
una rivista del tutto particolare: nonostante il titolo, non era fatta
solo da fumetti dell'orrore solo per il gusto dell'orrore, ma stava
nascendo una nuova maniera di realizzare riviste: con molti Autori noti e
tutti bravi, i fumetti erano di alto livello.
La rivista - tranne
la copertina ed il retro-copertina - era stampata completamente in nero
ed il risultato era eccellente. Tutti lavoravano con entusiasmo e
c'era anche una specie di gara fra gli Autori per avere il privilegio
di pubblicare dei propri disegni su "Horror". Oltre tutto
"Horror" aveva una caratteristica particolare, cioè, al contrario della
altre riviste, era diretta da ben due direttori: PierCarpi e Castelli.
Per quanto mi riguarda, con Castelli creai Zio Boris, un personaggio che ebbe immediato successo. Ma l'altro direttore, PierCarpi
una sera mi telefonò e mi chiese se potevo andare a casa sua perchè
doveva parlarmi di una cosa importante. Mi disse che non era giusto che
io facessi Zio Boris con Castelli e con lui niente, quindi aveva avuto
in mente un'idea: creare un nuovo personaggio, un clown, realizzando
delle strisce mute. A me l'idea piacque, anche perchè fino ad allora
non avevo mai fatto fumetti muti e la cosa mi stimolava molto. Così
presi un foglio di carta e schizzai subito il nuovo personaggio.Ma
non basta, io ebbi anche un'altra idea: dato che quel personaggio era
"muto" occorreva dargli comunque una voce e suggerii a PierCarpi di
mettere sotto le strisce un accompagnamento musicale. Telefonai subito
al maestro Alceo Guatelli - che era molto conosciuto anche perchè aveva scritto diverse canzoni di successo, anche per l'allora cantante Caterina Caselli
(che in quel periodo era sulla cresta dell'onda); Guatelli era anche
un bravissimo arrangiatore ed era molto ricercato da molti Autori: lui
riusciva spesso a decretare il successo di alcune canzoni proprio
grazie all'arrangiamento particolare. A PierCarpi piacque moltissimo questa nuova idea e decise di chiamare il personaggio semplicemente "Clown". A questo punto aprì un cassetto, tirò fuori una strana scatoletta e, una volta aperta, scopii che dentro c'era un "pendolino",
cioè quello strano aggeggio che usano i "maghi" tenendolo con due
dita per un filo appeso sopra un oggetto, una foto, un disegno, ed
il pendolino ad un certo punto cominciava ad ondeggiare e poi si mise a
girare molto velocemente. PierCarpi era soddisfattissimo: "Questo nuovo personaggio avrà molto successo. Lo ha detto il pendolino!"
Così si mise subito a scrivere le idee per realizzare la prima puntata di Clown.
Si era fatto molto tardi e, salutato PierCarpi, tornai a casa per
dormire. La mattina dopo mi misi subito a disegnare le strisce di
questo nuovo personaggio ed ebbi un'idea: invece di usare il solito
cartoncino bianco, usai un cartoncino grigio: erano le vignette che
tagliai nelle misure che avevo fissato e ci disegnai con il nero e con
il bianco in modo che lo sfondo delle vignette era tutto grigio; in una
puntata speciale che era posizionata nelle pagine centrali a colori
usai un cartoncino colorato.
Il personaggio "Clown" piacque molto e diversi giornalisti scrissero degli articoli parlando anche del fatto che quello era il primo fumetto musicale.
Infatti, dato che sotto le strisce c'era stampato il pentagramma con
la musica, molti giovani si divertivano a suonare il motivo di "Clown". Però non seppi mai da Castelli se quel personaggio gli fosse piaciuto...
Su "Horror"
io realizzai anche diversi fumetti con un disegno particolare, con uno
stile piuttosto grottesco; gli autori dei testi furono vari, ma uno
era fisso: Alfredo Castelli: con lui facemmo la serie dei fumetti dell'Angelo Nero.
Un piccolo passo indietro. Prima che Diabolik uscisse nelle edicole, le due sorelle Giussani
(creatrici e proprietarie del personaggio) frequentavano spesso la
nostra casa dato che erano amiche di mia moglie e spesso mi chiedevano
dei consigli riguardo la loro nuova "creatura": Diabolik.
Erano piene di dubbi e soprattutto non avevano la minima idea se
quell'albo sarebbe piaciuto. Io diedi loro molti suggerimenti che
seguirono alla lettera, come ad esempio l'idea di metterci dei retini e
di cambiare sistema di distribuzione: loro personalmente portavano le
copie di Diabolik alle varie edicole di Milano. Io feci capire loro che
quello era un personaggio che andava distribuito in tutta Italia e non
solo a Milano. Mi ascoltarono. Ma si rifiutarono di ascoltarmi quando
dissi loro che forse conveniva studiare un po' meglio la testata: mi
era sembrata un po' troppo semplice. Beh, devo dire che forse quella è
stata l'unica volta in vita mia che diedi un consiglio sbagliato: se mi
avessero ascoltato forse Diabolik non avrebbe avuto il grande successo
che ha avuto! Così, per un certo periodo, mia moglie scriveva i
soggetti ed io eseguivo i disegni a matita, però il tutto era solo a
titolo di amicizia e non desideravamo che apparissero i nostri nomi. Ora
mi pento anche perchè gli "storici" non citano mai i nostri nomi
quando parlano di Diabolik...
Presso la redazione di Diabolik conobbi due giovani studenti: Alfredo Castelli e Mario Gomboli.
Feci subito amicizia con loro. Questi avevano avuto un'idea:
realizzare una rivista umoristica e mi chiesero se me la sentivo di
illustrarla. Difficilemente dico di no a proposte di questo tipo,
quindi... qualche sera dopo eravamo nel mio studio per parlare
di questa nuova rivista. Era presente anche un loro amico, Marco Baratelli:
un tipo un po' taciturno che però aveva delle idee buonissime e delle
battute fulminanti. Prima ci fu una discussione sul titolo ed alla fine
venne fuori (non ricordo da chi) "Tilt" e piacque subito a tutti. Io creai subito il personaggino-mascotte chiamato anche lui "Tilt". Studiammo
il contenuto e quasi tutte le sere loro venivano nel mio studio e
si realizzavano assieme le varie pagine. L'entusiasmo era alle
stelle. Mentre io disegnavo, Castelli e Baratelli studiavano le idee
per le pagine seguenti, Gomboli invece dava la caccia... alle tavole
che io avevo appena disegnato: ci aggiungeva degli scherzetti extra,
tutti molto divertenti. Lui le chiamava "farciture". Quel modo di dire era diventato per noi usuale e ci si chiedeva se alcune tavole erano state "farcite" o meno. Per il pimo numero di Tilt realizzammo anche una "finta striscia", cioè di un fumetto che non era nato per quello scopo, ma fingevamo di "raccogliere" una storia formata da strisce. Si trattava della satira di Diabolik: noi lo chiamammo Diabetik.
Una
volta preparata la copertina, i tre giovani pensarono che quella
rivista avrebbero potuto stamparla nella tipografia dell'Università che
loro frequentavano. Però c'era un problema: in quella tipografia c'era
una stampante che aveva un formato limitato, per cui avremmo dovuto
ridurre di molto il formato che avevamo pensato. I tre fecero delle
prove di stampa e, quando le vedemmo, fummo tutti e quattro un po'
delusi. Ad un certo punto Castelli ebbe un'idea: aveva conosciuto un
Editore genovese, un certo Ivaldi e forse avrebbe potuto editare
lui la nostra rivista. Così, qualche giorno dopo, andammo dall'Editore
con tutto il materiale pronto. Ivaldi ne fu entusiasta e ci promise
che avrebbe editato la nostra rivista e trovò subito il direttore
responsabile: Claudio Bertieri, un giornalista esperto di fumetti.
Durante
la visita presso l'Editore, vedemmo che in un'altra stanza c'era un
disegnatore che lavorava alacremente. Stava disegnando delle tavole per
un nuovo personaggio che Ivaldi avrebbe editato, si trattava del
personaggio "Sgt Kirk" ed il disegnatore era un "certo" Pratt, Hugo Pratt...
Agli inizi della carriera, Pratt aveva realizzato moltissime tavole
per l'Editore Ivaldi al quale aveva ceduto anche i diritti perchè aveva
bisogno di soldi e Ivaldi era l'unico che gliene dava. Solo che Ivaldi
era diventato proprietario anche dei disegni originali... Non ho poi
saputo se successivamente Pratt era riuscito a riavere quegli originali
ed i diritti per le storie del "Sgt Kirk".
Qualche
anno dopo, Pratt si era fatto un grosso nome da solo,
indipendentemente dall'Editore Ivaldi ed ormai tutti lo conoscevano.
L'albo "Sgt Kirk" invece era terminato da tempo: la
distribuzione dell'Editore Ivaldi era piuttosto scarsa e di conseguenza
furono in pochi quelli che conobbero ed acquistarono quell'albo.
Quanto a "Tilt", lanciammo questa rivista a Lucca Comics
nel novembre del 1968 ed organizzammo una speciale conferenza stampa,
ma dato che non avevamo soldi per accogliere i giornalisti in un
albergo di lusso (come si usava normalmente), pensammo di invitare i
giornalisti in una trattoria piuttosto economica; offrivamo vino e
salame. Per il discorso, salimmo su un tavolo (vedi foto) per spiegare quali erano i contenuti di questa nuova e strana rivista. Io, dato che mi firmo "PeroGatt", approfittai di un gatto
che circolava per la trattoria e me lo tenetti in braccio per tutta la
durata della conferenza stampa che fu notata moltissimo dai
giornalisti perchè riuscirono subito a capire che tipi eravamo e quale
spirito esisteva in quella rivista. (nella foto, da sinistra: Castelli, Baratelli, Peroni, Gomboli).
Copertina di "TILT" N. 1
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Copertina di "TILT" N. 2
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DIEBETIK - versione "Tilt"
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Copertina di "UFFA, CHARLIE BROWN QUANTO ROMPI!
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DIABULIK - versione "autocensurata"
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RATMAN - anni'70, prima di quello di Ortolani...
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Cliccare sulle immagini per visualizzarle ingrandite
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Purtroppo, dopo due numeri usciti, visto che l'Editore non ci pagava e che non era riuscito a distribuire sufficientemente bene la nostra rivista, decidemmo di chiudere "Tilt".
Però intanto noi avevamo già iniziato il numero tre e soprattutto io
che avevo disegnato diverse tavole, ci trovammo con del lavoro fatto
inutilmente. Insomma, ci rimettemmo tutti e tre, ma io in special modo
perchè la maggior parte del lavoro era stata a mio carico. Però fu
grande la soddisfazione nell'apprendere che, nonostante avessimo
pubblicato solo due numeri, la nostra era comunque la prima in Italia del genere "demenziale"!
Anche oggi, a distanza di anni, sono in moltissimi quelli che si
ricordano della nostra rivista e le copie oggi sono diventate
introvabili.
Subito dopo Castelli riuscì a convincere l'Editore Sansoni (quello che Editava "Horror") a radunare il materiale esistente riguardo Tilt e farne un libro che intitolò: "Uffa Charlie Brown quanto rompi". In questa raccolta riapparve anche Diabetik che però qui venne ribattezzato in "Diabulik":
Castelli aveva saputo che l'Editore soffriva di diabete ed aveva
pensato bene di evitare che bocciasse il libro proprio per il nome di
quel personaggio... Castelli fece anche una piccola furbata: dato che,
tranne alcuni disegni ed i testi della presentazione, praticamente si
trattava di una "ristampa" del materiale già usato per la rivista
"Tilt", quindi scrisse sulla copertina del libro "Ristampa",
così furono in molti quelli che pensarono che era stato tanto il
successo del libro che avevano addirittura fatto una
"ristampa"!... Il libro che fu subito esaurito, anche per merito
del titolo azzeccato...
Quanto a Pratt, ormai era
diventato talmente famoso che i suoi personaggi erano conosciuti da
tutti. Occorre sapere che Pratt, oltre ad amare il
disegno amava molto suonare la chitarra e, durante le Fiere dei
fumetti, durante le serate lui ci intratteneva tutti con la sua
chitarra. Eravamo tutti affascinati: si sentivano musiche esotiche,
quelle che lui aveva disegnato più volte nei suoi fumetti.
Un anno (non ricordo bene quale), in occasione di "Lucca Comics", un piccolo Editore mi propose di realizzare un poster con un gioco: "il giro del pallone".
Il titolo era nato dal fatto che in quegli anni a Lucca veniva
moltissima gente ed era frequentata anche da molti Editori stranieri
(uno di questi mi avvicinò e mi propose di realizzare un periodico per
la Germania, si trattava di "Sonny"
che poi ebbe moltissimo successo, superando perfino il Topolino
tedesco), quindi gli organizzatori ebbero l'idea di allargare
l'ambiente dove partecipavano gli Editori con i loro stand, con un "pallone",
cioè una grande struttura gonfiabile. (un anno ci fu una perdita
d'aria dal "pallone" e chi si trovava all'interno ne fu spaventato!).
Così io realizzai quel "giro del pallone" sullo schema base del famoso "Gioco dell'oca":
una serie di caselle con difficoltà o vantaggi, solo che le caselle
passavano per i vari stand che si trovavano all'interno del "pallone".
Nel gioco misi anche le caricature di quasi tutti i disegnatori che
partecipavano più assiduamente a Lucca Comics. Fra le varie "difficoltà" misi quindi anche la caricatura di Pratt
mentre suonava la chitarra e diverse persone che si erano fermate per
ascoltarlo; quindi per chi arrivava in quella casella "bisognava stare fermi un giro per ascoltare Pratt mentre suonava la chitarra". Tutti
i personaggi che avevo inserito si erano molto divertiti, ma ci fu
anche chi si lamentò che non lo avevo inserito... Uno però non si
divertì con quel gioco: Pratt. Infatti lui si era offeso ed ho
saputo da amici che lui aveva creduto che io avessi voluto
intendere che Pratt sapeva "solo" suonare e non disegnare, ma il mio
era solo un innocente scherzetto. Pratt aveva giurato vendetta e
sperava di riuscire a prendermi per riempirmi di botte! Dato che Pratt
era molto più grande e robusto di me... io preferii evitare quello
scontro.
Durante le varie Fiere, ogni volta che lui mi vedeva, mi inseguiva.
Una volta, A Bologna, alla Fiera del libro per ragazzi,
ci trovammo faccia a faccia e Pratt stava quasi riuscendo a prendermi
mentre mi gridava che doveva darmi una lezione per aver fatto la sua
caricatura non mentre disegnava ma mentre suonava. Cercai subito di
tentare di spiegargli finalmente che quello era stato solo un innocente
scherzetto, ma lui non mi stava nemmeno a sentire e si avventava
contro di me. Non voglio sembrare un vigliacco, ma il motivo era che,
come detto, Pratt era sicuramente più forte di me e poi a me non è mai
piaciuto fare a botte: ho sempre preferito risolvere tutto con le parole
e non con la violenza, poi non avrei mai voluto litigare in nessun
modo proprio con Pratt dato che era un Autore fra i miei preferiti. Così riuscii a divincolarmi e preferii prendere il primo treno per tornare a casa.
Incaricai
anche diversi miei amici per parlare loro con Pratt e tentare di
fargli capire che io non avevo voluto offenderlo, ma che lo ammiravo
molto. Però quei tentativi fallirono: Pratt non ascolatva nessuno. Io
ne fui molto dispiaciuto e non fui mai in grado di parlargli
serenamente. Se fosse stato possibile, sarei di sicuro riuscito a
fargli capire quanto lo stimavo.
Ma non fu più possibile: un giorno se ne è andato per sempre... Chissà se da lassù mi avrà finalmente "perdonato" per una colpa non commessa?
(20 - segue)
Non ci vedo tanto bene...
La facciata dell'Istituto dei ciechi di Milano - disegno
Intorno alla fine degli anni '40 sono stato assistente ed anche insegnante di disegno presso l'Istituto dei ciechi di Milano
situato in Via Vivaio. Questo Istituto è stato fondato nel 1840 e da
allora si è ampliato e modernizzato moltissimo; oggi si insegna anche
informatica, quando c'ero io le materie che si insegnavano erano
abbastanza poche, ma quella che era seguita di più da quasi tutti i
ragazzi era la musica. C'erano ragazzi di varie età: piccoli di 6 anni
ed anche giovani di oltre i 20 anni. Da notare che questo si chiama "Istituto dei ciechi" e non "Istituto dei non vedenti":
i ragazzi ciechi non avevano mai accettato la forma di "non vedenti"
dato che secondo loro suonava falsa e dicevano: "Noi siamo ciechi,
quindi perchè chiamarci in maniera diversa?".
Inoltre, quando mi capitava di accompagnarli per andare - a piedi - ad assistere a qualche spettacolo alla Scala
(dove c'era un apposito palco riservato solo a questi ragazzi, tutti
molto amanti della musica e ci si andava molto spesso ed io ne
approfittavo per assistere, in un punto privilegiato, a tutte le opere
che venivano rappresentate), c'era della gente in strada che diceva "Poveri ciechi!" ed i ragazzi si arrabbiavano per questo e dicevano tra loro: "I poveri sono loro e non noi, visto che non hanno ancora imparato l'educazione!"
Nell' "Istituto dei ciechi"
c'erano ragazzi nati ciechi ed altri che erano diventati ciechi. C'era
molta differenza tra gli uni e gli altri. I nati ciechi facevano spesso
molte domande alle quali a volte era piuttosto difficile rispondere,
come ad esempio una volta un giovane nato cieco mi aveva chiesto "Che cosa sono i colori?" Io
ci pensai un po' poi, sapendo che lui era appassionatissimo di musica,
gli dissi che i colori sono un po' come la musica: se cambi tonalità e
tempo la musica cambia e ci sono anche molte sfumature: quelli sono come
i colori, cioè vari ed a volte sono sfumati e si fondono l'uno con
l'altro. il ragazzo fu soddisfatto e per dimostrarmi che aveva capito si
mise subito al piano e mi suonò una sua creazione: disse che quello era
un arcobaleno. Esatto! Effettivamente quella musica dava
proprio la sensazione dei vari colori dell'arcobaleno. Io fui felice di
essere riuscito, almeno in parte, a spiegargli una cosa molto
importante.
In quel periodo io collaboravo con un giornale di Roma (un periodico della famiglia del Vittorioso) e periodicamente dovevo spedire della tavole di una storia a puntate (Lillo, Lallo, Lello -
volutamente una specie di Pippo, Pertica, Palla di Jacovitti) e
realizzzavo i miei disegni all'interno dell'Istituto. Spesso
approfittavo del fatto che dovevo stare a curare i ragazzi mentre
facevano i compiti. Io disegnavo su un piccolo tavolo intanto che i
ragazzi facevano i compiti. Ero talmente preso che non mi ero accorto
che nel frattempo un ragazzo cieco - piuttosto balbuziente - si stava
avvicinando a me dicendo "S-s-s-s-signor pe-pe-pe-peroni..." e intanto
sbatteva contro il tavolo facendomi rovesciare l'inchiostro di china
sulla tavola che stavo facendo. Mi sono messo ad urlare: "Ma cosa hai combinato?!" e lui: "Mi s-s-s-scusi s-s-s-signor p-p-p-p-peroni, o-o-oggi n-n-n-on ci v-v-v-vedo ta-ta-ta-tanto bene..." Io l'ho subito abbracciato chiedendogli scusa. Ma lui mi rispose che era colpa sua perchè sapeva bene che doveva stare attento mentre camminava.
Un
giovane riusciva a sentire con il tatto le foto stampate sui quotidiani
e molto spesso mi descriveva che cosa vi era rappresentato. Io lo
incoraggiavo perchè ritenevo che in quel modo riusciva a sviluppare
molto meglio il senso del suo tatto. Una volta riuscì addirittura a
capire che c'era la foto di una bella donna che, secondo lui, avrebbe
potuto essere Sofia Loren. Infatti quella foto
rappresentava proprio Sofia Loren! Io ne fui meravigliato, ma lui mi
diceva che per lui era normale e mi diceva che lui poteva riuscire a
vedere le forme a tre dimensioni mentre io le vedevo solo a due...
Altri
ragazzi erano dei fenomeni della musica e mi invitavano spesso ad
ascoltare le loro composizioni. Solo che avevo notato che erano quasi
tutte piuttosto tristi. Una volta chiesi ad uno di questi come mai non
creava della musica allegra e lui mi rispose che la sua musica
rappresentava il suo stato d'animo. Sapeva benissimo che il suo futuro
sarebbe stato molto difficile: in un mondo dove tutti vedono, come viene
visto un cieco? E poi, quali tipo di lavori avrebbe potuto fare un
cieco? A quei tempi i ciechi erano ricercati nelle centraline dei
telefoni dato che dovevano solo parlare e maneggiare dei tasti,
cosa che per loro era piuttosto facile. Però quel lavoro era poco
pagato e senza soddisfazioni. Io cercavo di consolare questi
ragazzi dicendo che, se diventavano dei bravi musicisti, ci sarebbero
state sicuramente molte possibilità in più. Infatti, molti di loro si
specializzarono e vennero successivamente assunti da varie orchestre;
uno poi divenne compositore e compose diversi pezzi di musica classica.
Purtroppo sono passati troppi anni e non riesco a ricordarmi i loro nomi
ma so che molti sono diventati nomi famosi.
Questa accanto è una illustrazione del Duomo di Milano eseguita a rilievo per poter essere "sentita" dai ciechi.
Anche
io avevo, come i ragazzi, imparato a scrivere e leggere il
Braille, ma loro ridevano quando si accorgevano che leggevo molto
lentamente...
Io ogni tanto insegnavo il disegno ai ragazzi, divisi
in due parti: ragazzi nati ciechi e ragazzi diventati ciechi. Un ragazzo
diventato cieco mi aveva disegnato il cortile della sua casa come lo
ricordava. Un giorno lo avevo accompagnato a casa sua e scoprii che il
cortile era proprio come lui lo aveva disegnato! Per i
ragazzi nati ciechi la cosa era un po' più difficile e spesso mi
aiutavo con dei disegni a rilievo che loro dovevano copiare, oppure
descrivevo un oggetto che loro non avevano ancora toccato e cercavano di
disegnare (a rilievo) come lo immaginavano.
Io dormivo nella loro
camerata e tenevo accesa la luce del mio comodino per leggere o
disegnare; i ragazzi avevano un orario stabilito dalla direzione, l'ora
in cui dovevano fare silenzio e dormire. Ma ogni tanto dovevo
controllare i ragazzi: alcuni facevano "finta" di dormire, ma in effetti
tenevano un libro (in Braille) sotto le lenzuola per leggere con le
mani... Io cercavo di rimproverarli, ma non ne avevo il coraggio anche
perchè vedevo che leggevano dei libri di avventura che a loro piacevano
molto. Ah, mi ero dimenticato di dire che quei libri in Braille erano
piuttosto grandi ed anche piuttosto scomodi da maneggiare. Non so se
oggi abbiano inventato qualche sistema per farli almeno un po' più
piccoli e meno pesanti: lo spero.
Ai ragazzi piaceva ogni tanto farmi
anche degli scherzi, come una volta che mi chiamarono dicendomi di
andare a vedere in bagno (dove c'erano molti lavandini): "C'è qualcosa di strano in un lavandino!". Uno di questi ragazzi mi indicò un lavandino in particolare e, menre io mi affacciavo per osservare bene, lui mi disse: "Ho paura, c'è un occhio che mi guarda...". In effetti vidi ce nel foro di uscita della'cqua del lavandino c'era un occhio che mi fissava! Scoprii che era un "occhio finto":
era caduto di mano ad uno dei ragazzi ed ora era lì dentro. L'ho tolto
subito mentre tutti i ragazzi ridevano. L'occhio finto era di un
semi-cieco, cioè un ragazzo che aveva poca vista da un occhio e l'altro
era stato sostituito da uno finto, quello che gli era caduto nel
lavandino mentre si lavava la faccia.
Il metodo Braille per la scrittura dei ciechi
Una volta avevo fatto costruire un pallone speciale: dentro avevo fatto mettere un paio di piccoli barattoli. Così i ragazzi potevano giocare a calcio "sentendo" dov'era il pallone e si divertivano moltissimo.
Successivamente
avevo fatto costruire dal falegname dell'Istituto dei trampoli di
legno. Avevo insegnato loro come si faceva a stare sui trampoli ed
avevano imparato subito. Erano bravissimi, molto più di me... Poi a loro
venne in mente di giocare a pallone con i trampoli. Io avevo dei dubbi:
e se poi si fossero fatti male? Ma il direttore mi disse che dovevo
lasciarli provare: così si eserciteranno maggiormente a muoversi e
questo sarà utile per loro in futuro. Comunque i ragazzi erano
ugualmente bravi e mai nessuno è caduto o si è fatto male.
Il
direttore dell'Istituto si dilettava a fare degli esperimenti di
"lettura del pensiero". Una volta chiamò noi assistenti e ci fece
imparare la difficile arte della lettura del pensiero. Qualcuno si
rifiutò di continuare dicendo che quelle erano tutte cose impossibili,
altri invece ci provarono; io ne fui affascinato anche perchè, fin da
piccolo, mi ero dilettato nella lettura del pensiero e spesso mi
ero divertito con i miei amici e abbastanza spesso avevo indovinato
quello che stavano pensando. Per evitare imbrogli, facevo scrivere delle
parole su un foglio e spesso "indovinavo" quello che c'era scritto. Ma
non bastava, a volte andavamo assieme al cinema e ci mettevamo in una
fila piuttosto indietro; loro mi indicavano una persona del pubblico
(diverse file più avanti) e mi dicevano che cosa avrebbe dovuto fare
quella persona (movimenti abbastanza semplici, tipo alzarsi in piedi,
grattarsi la testa, guardare da una parte precisa, alzarsi e sedersi due
volte, e così via). Beh, moltissime volte quegli esperimenti riuscivano
con grande divertimento da parte dei miei amici. Io invece mi divertivo
un pochino meno poichè solitamente, dopo, mi veniva un po' di male di
testa. Non sapevo il perchè, ma di solito preferivo smettere quando
sentivo il piccolo male di testa in arrivo.
Così riuscii ad
affiatarmi molto bene con il direttore dell'Istituto poichè lui ne
sapeva molto più di me e mi insegnò le varie tecniche. Mi spiegò anche
che non bisognava abusarne dato che dovendo riuscire ad eliminare dal
proprio cervello qualsiasi pensiero e pensare intensamente solo alla
cosa utile all'esperimento - e questo a volte per diverso tempo - poteva
causare del mal di testa e in quel caso bisognava smettere subito.
Un
giorno, nell'ufficio del direttore, facemmo un esperimento piuttosto
difficile: nell'Istituto c'era un cane molto docile; noi ci mettemmo
d'accordo su che cosa avrebbe dovuto fare il cane comandato
esclusivamente dal nostro pensiero. Il percorso che il cane avrebbe
dovuto eseguire era:
1 - uscire dalla stanza.
2 - scendere i gradini per arrivare al cortile.
3 - attraversare il cortile.
4 - entrare in un arco dalla parte opposta del cortile e salire i gradini.
5 - aprire la porta (che era stata socchiusa).
6 - cercare delle pantofole particolari, scelte fra quelle che erano sistemate dentro un armadio.
7 - prendere le pantofole.
8 - fare il percorso di prima in senso inverso.
9 - entrare nella nostra stanza.
10 - consegnare le pantofole al direttore dell'Istituto.
Pensammo
che la cosa sarebbe stata quasi impossibile ma ci concentrammo
moltissimo pensando al percorso che il cane avrebbe dovuto fare,
visualizzandolo molto bene e dettagliatamente con il pensiero. Era
passato del tempo e, quando ormai ci eravamo rassegnati al fallimento
dell'esperimento, entrò nella stanza il cane con in bocca le pantofole!
Successivamente
feci delle prove di lettura del pensiero con i ragazzi ciechi:
avrebbero dovuto pensare ad un numero da 1 a 10 ed io avrei dovuto
"leggere" il loro pensiero. Prima dell'esperimento li avevo pregati di
immaginare il numero in braille. Così io mi concentravo e quasi sempre
indovinavo il numero. Poi aumentai: pensare un numero da 1 a 100, poi da
1 a 1000... Insomma, scoprii che i ragazzi ciechi riuscivano molto bene
a "trasmettere" il pensiero.
Un giorno avevano portato
nell'Istituto dei ciechi una bambina sorda-muta-cieca. Nessuno riusciva a
comunicare con lei. Le insegnanti, con moltissima fatica, riuscirono in
qualche modo farle almeno capire che ci si poteva "parlare"
picchiettando un dito sul palmo della mano. Così cominciò ad imparare
qualche parola. Io mi offersi di insegnarle altre parole. Trascorrevo
molto tempo per tentare di insegnarle delle parole e la cosa era
alquanto difficile perchè non sempre la bambina collaborava, ma man mano
che passava il tempo e scoprii che si impegnava sempre di più e lei imparava in fretta.
Poi un giorno le disegnai con il dito sul palmo della sua mano un
cerchio con due puntini in alto ed una curva all'insù in basso: era una
specie di faccia sorridente: lei mi sorrise. Questo per me è stato il
più bel regalo!
NOTA:
le immagini di questa puntata erano
collegate al sito dell'Istituto dei Ciechi di Milano che in questo
momento "sembra" essere chiuso. In attesa di informazioni, sono riuscito
a rintracciare da altre parti un paio di illustrazioni, ma una non sono
ancora riuscito a trovarla. Vedremo...
(19 - segue)