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Ruggero Giovannini, il baseball e... Pogo
All'epoca d'oro del Vittorioso, Ruggero Giovannini
era un pilastro del giornale e le storie disegnate da lui si
riconoscevano subito per il suo stile molto pulito e curato e per una
grafica piuttosto originale. In un certo qual modo rispecchiavano un po'
il suo carattere: molto preciso, pignolo, ma soprattutto sempre "signorile"; Giovannini, pur essendo "Romano de Roma"
(e ne andava fierissimo), non parlava quasi mai in dialetto, aveva
ovviamente una certa inflessione romana, ma parlava in un italiano molto
raffinato. Era un signore in tutto, nel disegno e nella vita.
Ma, a volte, ehm... Ma è meglio comiciare dall'inizio.
Appena ho conosciuto Giovannini, ho scoperto subito che, oltre ad essere un bravissimo disegnatore, era anche un esperto di baseball;
cioè, si era innamorato di quello sport e ne parlava come se al mondo
non ne esistessero altri. Mi parlava spesso della tecnica di gioco, dei
nomi dei campionii (ovviamente americani: in Italia quasi nessuno sapeva
ancora che esistesse quello sport). Insomma, trovava sempre il modo di
mettere il gioco del baseball nei suoi discorsi.
Ovviamente nel suo studio aveva anche il classico guantone da baseball (autentico) e naturalmente il mitico cappellino blu con la "N" e la "Y" in bianco...
Visto
che io non ne capivo proprio niente, Giovannini mi dava delle "lezioni"
sulle varie pose del battitore, anzi una sera decise di darmi delle "lezioni pratiche".
Gli chiesi dove potevamo esercitarci per dei lanci e lui mi rispose,
con molta tranquillità, che proprio vicino a casa nostra c'era una via
adatta allo scopo: era completamente disabitata, nel senso che c'era
solo una serie di muretti e cespugli; insomma, era una via nella quale
non passava quasi mai nessuno. Quindi, quando fummo sul posto cercò in
terra un sasso, grosso modo delle dimensioni della pallina da baseball e
mi fece vedere subito quale era la tecnica giusta per lanciare. Infatti
lanciò subito il sasso con una tecnica perfetta, solo che... il sasso
era diretto ad un lampione della via. Riuscì a colpire in pieno la luce
del lampione che subito si spense. Mi disse: "Hai visto come si fa?
Bene, ora prova tu. E mi raccomando, mira bene, respira a fondo e poi
tira deciso". Io ero talmente preso dalla sua strana "lezione" che
eseguii alla lettera, ma non riuscii a colpire niente. Giovannini mi
disse di non avvilirmi: "All'inizio sembra difficile, ma poi quando si è imparate bene la tecnica, tutto diventa facile."
Così fece un altro tiro e... un altro lampione colpito. Dopo varie
prove, alla fine riuscii anch'io a colpire un lampione. Giovannini si
complimentò con me: "Un giorno diventerai un bravo battitore!"
Ormai si era fatto piuttosto tardi e facemmo ritorno verso casa. Solo
che ora la via era completamente al buio! Ehm... so bene che non è una
cosa da farsi, ma in quel momento mi era sembrata una cosa normale,
ovvia. Solo il giorno dopo, ripensandoci...
Un
giorno Giovannini mi ha portato allo stadio a vedere una vera partita
di baseball. Notai che il pubblico era composto quasi esclusivamente da
americani che vivevano a Roma. Nonostante tutte le lezioni sul baseball
che mi aveva dato Giovannini, sinceramente non ci avevo capito molto;
così Giovannini ne approfittò per darmi ulteriori spiegazioni mentre si
svolgeva la partita.
Il baseball è uno sport piuttosto lento, quindi
la gente cha va ad assistere a quelle partite si organizza: si porta
dietro pop corn, patatine, bibite, giornali a fumetti... A questo
proposito, proprio vicino a me c'era un americano che aveva appoggiato
per un momento sui gradini un albo a fumetti. Gli
chiesi se potevo dare un'occhiata e, alla risposta affermativa, mi misi
a guardarlo. Così feci una grande scoperta: quell'albo a fumetti - in
inglese - era di un personaggio per me completamente sconosciuto. Si
chiamava "Pogo" ed i disegni erano veramente belli! L'autore di Pogo era Walt Kelly,
un ex disegnatore della Disney che, dopo aver realizzato, tra l'altro,
delle storie di Paperino (un po' particolari, piuttosto belle ma... il
disegno non era quasi per niente disneyano...), si era messo in proprio
ed aveva creato un personaggio suo: Pogo, un opossum
che viveva in una palude ((Okefenokee) dove c'erano diversi personaggi
secondari ma molto importanti ai fini delle storie. Ad esempio c'era il
suo amico Albert, un coccodrillo sempre allegro e molto
divertente, poi c'erano altri personaggi, come la tartaruga, il gufo, la
puzzola, ecc. Ma oltre i disegni piuttosto belli con uno stile del
tutto particolare (un tratto molto morbido a pennello), i testi erano
molto belli e particolarmente curati. Io conoscevo un po' l'inglese ed
ero riuscito a leggere quasi tutto l'albo, ma alcune raffinatezze non
ero riuscito a tradurle. Così mi feci tradurre alcune vignette
dall'americano che mi aveva prestato l'albo; così scoprii che i dialoghi
erano particolarmente curati e pieni di battute - alcune difficilmente
traducibili - ed alcune si riferivano a personaggi conosciuti in quel
periodo negli Stati Uniti. All'apparenza
questo personaggio poteva sembrare essere dedicato ai bambini, invece
era decisamente per gli adulti: dentro c'era anche molta satira politica
americana. Una caratteristica di questo particolare fumetto era che
alcuni personaggi parlavano in maniera un po' diversa, esempio un
avvocato parlava forbito ed il "lettering" (cioè il testo
all'interno dei "baloon" - un tempo scritto a mano, oggi solitamente con
il computer) era tutto svolazzante, un reverendo parlava in gotico,
alcuni parlavano - evidentemente con un particolare accento e Kelly
trasformava questa parlata con un lettering del tutto particolare che
dava l'idea di un tipo diverso di linguaggio, e così via.
Negli anni '60/70, quando feci i disegni per Zio Boris, (con Castelli, per la rivista "Horror") "rubai" questa idea a Kelly per i fumetti di alcuni personaggi, come ad esempio Masoch e De Sade (vedi disegno).
Ringraziai
l'americano che mi aveva prestato quell'albo e questi, visto che quel
personaggio mi piaceva così tanto, mi disse che mi regalava l'albo.
Ovviamente ne fui felicissimo e lo ringraziai a modo mio: gli feci
subito un disegno con un mio personaggio. Lui ne fu felice ed io pure:
così potevo rileggere con calma Pogo. Ero stato talmente preso dal
fumetto di questo personaggio che avevo appena scoperto che non avevo
seguìto la partita di baseball... Spiegato il motivo a Giovannini, anche
lui fu subito conquistato da Pogo, anzi andammo subito in una edicola nel centro di Roma specializzata per avere molti giornali stranieri e riuscimmo a trovare altri albi di Pogo che ci dividemmo io e Giovannini.
La
passione per quel fumetto, non mi aveva fatto dimenticare completamente
il baseball, tanto che una volta realizzai una storia del mio
personaggio "Gervasio" ambientata tutta nell'ambiente del baseball
ed anche il mio personaggio era diventato giocatore di quello sport.
Ovviamente prima mi ero documentato molto sulle divise e sui vari
particolari del campo. Giovannini fu così contento che mi regalò un suo
disegno come ricompensa. Ovviamente la cosa mi fece molto piacere: avere
un disegno originale di Giovannini non era una cosa da tutti, dato che
non regalava quasi mai suoi disegni!
Allora
mi misi a cercare altri fumetti di Pogo e vidi che c'era molta
differenza tra le storie che aveva realizzato per gli albi e le strips:
erano ancora molto più ricercate e curate.
Gli ambienti di questo fumetto erano particolari: dato che si svolgeva in una palude, c'era sempre un po' di nebbia.
In seguito scoprii anche delle grandi illustrazioni di Walt Kelly, come quelli per una famosa rivista americana: Life. Quei disegni erano di una bellezza sconvolgente.
Negli
ultimi tempi Kelly faceva fatica a realizzare questi fumetti e lui si
limitava a disegnare le matite e sua moglie cercava di imitare il suo
segno in nero, però si notava l'enorme differenza. Dopo la sua
scomparsa, ho saputo che sua moglie aveva tentato di portare avanti quel
particolare personaggio, ma poi deve aver dovuto rinunciare poichè non
se ne è saputo più niente. Era evidente che non bastava "imitare" lo
stile di Walt Kelly, in quel fumetto c'era qualcosa di più che solo
l'autore riusciva a realizzare.
Subito dopo la mia scoperta di Pogo
ne parlai con i miei collegi, ma non li ho trovati particolarmente
convinti, solo Giovannini andava pazzo per Pogo e ogni tanto si
divertiva a recitare alcune battute di quei fumetti.
Molti anni dopo, quando uscì la rivista Linus,
ritrovai finalmente anche Pogo, stavolta in italiano: era sempre bello,
chi aveva tradotto i testi aveva fatto molta fatica per tentare di far
rimanere intatte alcune battute, ma non sempre ci era riuscito. inoltre
il lettering originale era molto curato, quello italiano un po' meno.
Peccato.
Giovannini
era un artista, ma aveva un carattere particolare ed a volte gli
capitava di fare molta fatica a terminare delle storie per colpa dei
testi (non suoi) che non gli piacevano, di conseguenza il Red Cap del Vittorioso
si preoccupava spesso circa le consegne delle tavole di Giovannini: se
ritardava, poteva anche succedere che si rifiutasse di andare avanti con
una certa storia...
Per capire meglio, occorre sapere che ai quei
tempi (si parla degli anni '50-60) i disegnatori ricevevano una
sceneggiatura e solitamente quella storia veniva programmata per un
certo periodo. Appena il disegnatore consegnava le prime due tavole, la
storia veniva pubblicata con la scritta - in basso - "Continua".
Di conseguenza il giornale andava avanti con varie storie a puntate
(realizzate dai vari autori), solitamente ciascuna con due tavole per
puntata e se per caso un disegnatore avesse consegnato le tavole in
ritardo, sarebbe stato un grosso guaio. Non so spiegarmi come mai la
redazione usava quel sistema così rischioso, ma so solo che in tutti gli
anni che è esistito Il Vittorioso, nessun disegnatore ha mai interrotto
la consegna delle sue due tavole settimanali. Quindi, se Giovannini si
"rifiutava" di andare avanti, la cosa durava solo per pochi minuti:
subito dopo si metteva a lavorare e consegnava in tempo le due tavole -
sempre bellissime e molto curate - della puntata.
Però è capitato che una volta Giovannini ne ha combinato una grossa: non ha consegnato le tavole! Ma questo non era per Il Vittorioso,
bensì per un lavoro speciale che doveva fare per un Editore di Torino.
Una sera Giovannini ci parlò di questo lavoro ed era tutto entusiasta:
le tavole gli sarebbero state pagate molto di più di quanto non
prendesse dal Vittorioso, inoltre la storia gli piaceva, quindi era
proprio soddisfatto. La consegna sarebbe dovuta avvenire all'incirca
dopo una settimana e nel frattempo, ogni sera che ci vedevamo e gli
chiedevamo se aveva iniziato a disegnare le tavole promesse, lui ci
rispondeva che erano un gioco da ragazzi: le avrebbe realizzate in un
tempo brevissimo, quindi poteva benissimo farle anche all'ultimo minuto.
Poi ci disse che, dato che doveva portarle lui stesso a Torino,
voleva evitare che lì pensassero di avere a che fare con un poveraccio:
occorreva andarci con un vestito adeguato. Quindi telefonò al suo sarto e
gli ordinò un frack. Noi amici che eravamo presenti alla
telefonata, gli chiedemmo perchè mai proprio un frack. Giovannini ci
rispose che si vedeva che noi non sapevamo come ci si presenta da un
Editore del nord, specialmente di Torino; quindi ci disse che si sarebbe
presentato in frack in modo che quell'Editore sapesse subito che lui
era un signore e come tale avrebbe dovuto trattarlo. Noi eravamo molto
titubanti, ma lui insisteva dicendoci che noi non avremmo mai potuto
lavorare per un Editore di Torino. Quindi si mise al tavolo da lavoro,
prese un grande foglio di cartoncino da disegno, lo squadrò ben bene e
si mise a schizzare la prima vignetta. Poi rimase con la matita in mano a
pensare. Noi stavamo ad osservarlo nel massimo silenzio: non si
interrompe un artista che sta creando. Ma Giovannini in quel momento non
stava "creando" ma stava "pensando". Posò la matita, prese il telefono e
richiamò il sarto e gli chiese se aveva iniziato il lavoro per il suo
frack; alla risposta negativa del sarto, Giovannini gli disse di lasciar
stare: quel frack non gli serviva più. Subito dopo noi gli dicemmo che
aveva fatto bene a disdire quel frack: era meglio andare a consegnare le
tavole con un normale vestito, anche se elegante. Ma lui ci rispose che
il fatto era che non intendeva fare più quel fumetto: "Ma perchè io
devo fare un fumetto per un Editore di Torino che non solo pretende che
io vada da lui a consegnare le tavole, ma vuole pure che ci vada in
frack. Ho deciso: questo fumetto non lo faccio più: quell'Editore non se
lo merita!"
La
nostra meraviglia fu tale che rimanemmo in silenzio per alcuni minuti
fino a quando Giovannini ci disse: "Ragazzi, che ne dite di andare in
centro a fare una passeggiata? E magari poi ci mangiamo anche una bella
pizza!" Non fummo capaci di contraddirlo e ci ritrovammo così a
passeggio per le strade di Roma dove lui ci illustrava i vari monumenti e
in alcuni casi, dei riferimenti alla storia romana.
A proposito di storia romana... Come ho raccontato in un'altra puntata di questo PeroBlog, ci fu un periodo in cui era venuta un po' a quasi tutti i disegnatori romani - o residenti a Roma - la "febbre dell'Inghilterra",
cioè, la voglia di lavorare per degli editori inglesi che si erano
rivolti ai disegnatori italiani riconoscendo la notevole qualità
rispetto a quella dei disegnatori inglesi. Quindi ognuno si dava da fare
per riuscire a fare i soliti fumetti per Il Vittorioso e
contemporaneamente anche quelli per l'Inghilterra che, oltre tutto,
erano pagati molto più profumatamente...
Giovannini fece diverse
storie che piacquero moltissimo agli editori inglesi. Ma ad un certo
punto smise di collaborare con loro. Noi ovviamente eravamo curiosi e
gli chiedemmo qual era il motivo che lo aveva portato a chiudere quella
collaborazione che, oltre tutto, era piuttosto redditizia. Giovannini ci
spiegò che aveva ricevuto la sceneggiatura di una storia da realizzare a
fumetti in costume. Il punto era che si svolgeva all'epoca dell'antica
Roma e nel testo, ad un certo punto in una battaglia vincevano gli
Inglesi con una disfatta dei Romani. Questo lui, un romano purosangue,
non avrebbe mai potuto accettare di farlo. Noi guardammo la
sceneggiatura e gli facemmo notare che... effettivamente sembra che in
quella battaglia vinsero gli Inglesi... Ma lui non voleva essere
"complice" di una disfatta Romana! Quindi la sua collaborazione con
l'Inghilterra terminò. Beh, c'era quasi da aspettarselo da un
disegnatore così geniale e bravo, ma anche fortemente "Romano"...
(18 - segue)
Zio Boris contro le Sturmtruppen
Intorno agli anni '70, quando disegnavo il personaggio Zio Boris (testi di Alfredo Castelli), a Genova avevano organizzato le "Tre giornate del fumetto", una manifestazione di fumetti alla quale partecipavano anche diverse case editrici. Castelli ebbe l'idea di partecipare anche noi a questa manifestazione di Genova. "Beh, perchè no?", dissi io, ma Castelli aveva in mente qualcosa di più grande: partecipare con uno stand! Già, ma lo stando costava troppo... Allora ebbe un'ide: parliamone con Bonvi e se lui è d'accordo, faremo uno stand assieme dividendoci le spese: Zio Boris e Sturmtruppen!
A Bonvi l'idea piacque, così prenotammo lo spazio per lo stand. Ovviamente uno stand va anche "addobbato"... così io e Bonvi preparammo dei grandi disegni a colori da incollare su legno; queste figure poi andavano sagomate ed attaccate all'ingresso dello stand. Fu proprio un bel lavoro e il nostro stand, pur se realizzato con poca spesa, era diventato uno dei migliori, cioè era uno di quelli che si notavano di più.
A quel tempo sia Zio Boris che le Sturmtruppen erano personaggi molto conosciuti ed i giovani facevano la fila per riuscire ad avere un autrografo o meglio... un disegno da Peroni e da Bonvi. Noi non ci facevamo pregare e dicevamo di sì a tutti; solo che non sembra, ma tre giorni sono lunghi e la gente in fila era sempre moltissima, tanto che ad un certo punto dovettero intervenire i carabinieri per tenere in ordine la folla. Io e Bonvi ci eravamo quasi pentiti dell'idea di fare quei disegnini... quindi studiammo il sistema di darci il cambio: ogni tanto uno dei due disegnava mentre l'altro si riposava. Solo che la gente voleva i disegni di Zio Boris e delle Sturmtruppen, quindi ci mettemmo a disegnare ciascuno dei due anche i personaggi dell'altro, firmandoli con la firma del collega (imitata piuttosto bene...).
Così a volte io facevo le Sturmtruppen firmate Bonvi e Bonvi disegnava Zio Boris firmandolo C. Peroni.
Ad un certo punto Bonvi ebbe un'idea: "Cerchiamo di movimentare un po' l'ambiente!" Ci mettemmo d'accordo velocemente e Bonvi, salito su un tavolo, annunciava che avremmo fatto un fumetto in diretta noi due assieme: Zio Boris e le Sturmtruppen per la prima volta assieme in un fumetto! Infatti cercammo un grande cartoncino e preparammo le squadrature per avere una serie di vignette, in alto uno spazio che serviva per il titolo. Ma... non sapevamo ancora quale storia disegnare! Così ognuno di noi disegnava una vignetta scrivendoci anche il testo, lasciando poi al collega il compito di continuare. Il compito era un po' difficile, ma non tanto: a tutti e due piaceva quel "gioco" e lo avevamo fatto a volte anche da soli in trattoria mentre mangiavamo ed ogni volta ne era uscito un fumetto piuttsoto divertente che poi regalavamo - con doppia dedica - al proprietario della trattoria il quale in cambio ci regalava il pasto appena consumato.
Così, dopo qualche ora la pagina del fumetto "Zio Boris contro le Sturmtruppen" era pronta. Ci vorrebbe troppo tempo e... troppa memoria per descrivere tutta quella tavola incredibile, posso dire solo che alla fine Zio Boris era diventato una specie di mostro che aveva indosso la divisa delle Sturmtruppen, stava con le gambe piegate (classiche di Bonvi) e parlava con il classico accento pseudo-tedesco!
Bonvi salì di nuovo sul tavolo e chiese se c'era qualcuno che avrebbe voluto per sè quell'originale. Risposero in moltissimi, ma Bonvi disse che lo avremmo consegnato a chi ci avrebbe portato per primo una bottiglia di whisky! Ci fu una corsa pazzesca ed alla fine arrivò uno tutto trafelato con la bottiglia in mano che diede a Bonvi e lui in cambio gli consegnò la tavola dopo averci aggiunto tutti e due una speciale dedica.
La gente ora voleva un'altra tavola uguale a quella, ma nel frattempo Bonvi era... sparito e con lui anche la bottiglia... Più tardi fece ritorno con la bottiglia vuota, chiedendomi scusa: "Mi ero dimenticato che c'eri anche tu..." Io risposi che non faceva niente, tanto a me quel liquore non piaceva, mi bastava solo essermi divertito un po' e poi mi aveva fatto piacere essere riusciti a creare un clima di festa in quelle grige tre giornate. Secondo me era stata una delle cose più belle. Quando la manifestazione terminò, io chiesi all'organizzatore di riavere subito indietro i miei disegni originali che erano stati esposti in quella manifestazione. Ma... quei disegni non c'erano più: 20 disegni originali (alcuni a colori) erano tutti spariti! Avevo voglia di piangere: avevo portato alcuni tra i miei disegni migliori, ed ora... Furono inutili le scuse: quei disegni orami erano definitivamente spariti; oltre tutto, solitamente io faccio delle fotocopie prima di consegnare dei disegni originali per qualche mostra, ma quella volta, per la fretta, non le avevo fatte. Questo è stato un vero peccato: mi ero divertito moltissimo in quei giorni, ma poi il grande dispiacere di aver perso per semprei miei disegni originali.
Beh, devo dire che ogni volta che incontravo Bonvi, lui era quasi sempre con una bottiglia in mano: gli piaceva un po' troppo bere. Io avevo cercato più volte di fargli capire che tutto quel bere gli avrebbe fatto male, ma quando gli facevo quel discorso lui non mi ascoltava nemmeno.
In seguito ho incontrato più volte Bonvi in diverse occasioni, una di queste era stata quando, nel 1970, io curavo una rivista che si chiamava "Psyco" - era un po' sulla strada di "Horror", anche se il genere delle storie era un po' più fantasy e la grafica, curata da me, era piuttosto diversa; questa rivista ebbe un notevole successo, ma non riuscì mai a battere "Horror" i cui lettori erano ormai troppo affezionati per andare a comprare una rivista della... "concorrenza"... Beh, Bonvi era stato invitato a collaborare ala rivista "Psyco", ci aveva promesso un fumetto del tutto particolare e con uno stile un po' diverso. Quando finalmente arrivò in redazione a consegnare le tavole, vidi che erano tutte disegnate su un lussuosissimo cartoncino, ci aveva inserito i "retini" (l'effetto di grigio creato con una serie di puntini di vari tipi e spessori) ed erano state "plastificate", diceva che lo aveva fatto perchè il disegno non si rovinasse... Insomma, quelle tavole facevano una figura veramente bella. Però il "fotolitista" (cioè colui che, in quei tempi, era incaricato di fotografare le tavole e trasformarle quindi in pellicole pronte per la stampa) non era soddisfatto: quelle tavole, essendo lucide, era difficilissimo riuscire a fotografarle bene pechè si creavano diversi riflessi con le luci. Il fotolitista, quando portò le pellicole chiese una cifra superiore perchè aveva impiegato molto più tempo del solito, ma poi fece anche uno sconto perchè... si era divertito a leggere quelle tavole che gli erano piaciute moltissimo!
Il titolo era "Galassia che vai..." ed ed era stato studiato in collaborazione di Guccini. Il personaggio principale era proprio Bonvi, cioè una specie di suo autoritratto...
Su "Psyco" c'erano diversi fumetti ed una volta tanto io avevo scritto i testi di una particolare ed innovativa storia fantascientifica che poi feci disegnare da due giovani disegnatori che si erano anche divertiti a sperimentare una nuova tecnica. Come disegni, io facevo la copertina, varie illustrazioni ed il fumetto "Van Helsing - detective del soprannaturale" (testi di Baratelli - Castelli) poi, nel retro-copertina, una strip con uno strano personaggion chiamato "Compy" (a quell'epoca gli attuali computer non erano ancora stati inventati e quello era un super-computer, piuttosto grande ed anche un po'... sbarazzino); i testi di questo fumetto erano scritti da Mario Gomboli, quello che ora è il "boss" di Diabolik! E pensare che sia Gomboli che Castelli io li avevo conosciuti - ed anche un po' allevati - quando erano due giovani studenti che frequentavano, pieni di entusiasmo, la casa Editrice di "Horror" ed anche quella di "Diabolik": le due case Editrici erano in due appartamenti diversi di uno stesso palazzo, anche perchè "Horror" era del marito di una delle due sorelle Giussani, inventrici, sceneggiatrici e proprietarie di "Diabolik". Ma una sera ci venne in mente di fare una satira proprio di Diabolik: Diabetik (divenuto poi, per motivi "tecnici" Diabulik)... Ma di questo penso che ne parlerò un po' più a lungo in un'altra puntata di questo PeroBlog...
(17 - segue)
Perogatt poeta romanesco?!
Era verso la fine degli anni '50. Una sera, a Roma, io e Lino Landolfi
eravamo stati invitati a cena, in un locale caratteristico di
trastevere con i poeti romaneschi. L'invito era provenuto da un giovane
poeta (purtroppo non ricordo il nome), amico di Landolfi, che era stato
definito come l'erede morale di Carlo Alberto Salustri, conosciuto come Trilussa (famosissimo poeta romenesco). A questa cena c'erano poeti, attori e registi famosi, come Aldo Fabrizi, PierPaolo Pasolini
e molti altri dei quali ora mi sfuggono i nomi: quella sera erano in
tanti che è piuttosto difficile ricordarli tutti; so solo che erano
presenti anche diversi attori e "caratteristi" romani e diverse giovani
attrici in cerca di notorietà.
Io ero seduto con Landolfi
alla mia sinistra il quale aveva alla sua sinistra il poeta suo amico,
alla mia destra c'era un poeta ottantenne, considerato il decano dei
poeti romaneschi, accanto a lui c'era Pasolini (in compagnia di una bellissima donna); Fabrizi era quasi di fronte a me.
Ad
un certo punto, sentendo che il mio accento non era proprio
romanesco... qualcuno chiese chi fossi e cosa ci facessi lì. Io dissi
semplicemente che disegnavo fumetti e che non ero romano, ma mi
piacevano molto le loro poesie.
Allora,
scherzando (ma non tanto...) mi sfidarono a scrivere in pochi minuti
una poesia in dialetto romanesco. Io, da perfetto incosciente, accettai.
Così poco dopo mi fecero alzare in piedi per declamare la mia
poesia. Sinceramente non ricordo che cosa avevo scritto, so solo che
quando ebbi terminato, ci fu un fortissimo applauso e Fabrizi, serissimo
come del resto era stato per tutta la serata (mi hanno detto poi che
lui era un tipo fatto in quel modo: difficilmente rideva, se non per "finta" mentre recitava) dopo una lunga pausa, propose di nominarmi subito "poeta romanesco ad honorem". Accettarono tutti all'unanimità. Una cosa che gradii immensamente: ero stato accettato, ora ero anch'io un "romano"!
Ma, come ho detto in un'altra puntata, cambiando città (quando sono tornato a Milano) dimenticai il romanesco e diventai "milanese". C'è poco da fare: "io sono sempre del posto in cui mi trovo"...
Pubblicarono
la mia poesia, creata in un batter d'occhio con un dialetto non mio, su
una rivista specializzata dei poeti romaneschi; il poeta amico di
Landolfi mi chiese anche di illustrare un suo libro dove aveva
raccolto diverse sue poesie romanesche; purtroppo persi
il giornale e quel libro durante uno dei miei tanti traslochi e della
mia disavventura "romanesca" non mi rimase niente, tranne il ricordo, un
bel ricordo.
NOTA
Ho sentito da qualche parte che, per quanto riguarda la definizione "romanesco", alcuni dicono che è sbagliata e si dovrebbe dire "romano"; io so che, quando vivevo a Roma, i romani e soprattutto i poeti, prefarivano difinire il loro dialetto "romanesco". Quindi vorrei evitare che qualcuno mi facesse notare che ho sbagliato: se mai mi sono riferito a "quel" periodo", anche se personalemnte preferisco "romanesco".
Come pure, ci sono diversi giornalisti che definiscono "fumettari"
noi che facciamo i fumetti: io e moltissimi altri miei colleghi,
preferiamo la definizione che ci sembra più corretta e che comunque
suona meglio: "fumettisti". E voi che cosa ne pensate?...
(16 - segue)
Jacovittate
Durante
una delle solite passeggiata serali/notturne in giro per Roma (eravamo
un bel gruppetto di amici-colleghi disegnatori vicini di casa), proprio
in una via del centro Jacovitti ad un certo punto, si fermò di colpo. Aveva visto "qualcosa"
di strano nella vetrina di un negozio. C'erano esposti molti pupazzi
realizzati in panno colorato con suoi personaggi. Il negozio era della
famosissima (allora) "Lenci", specializzata in pupazzi in panno.
Jacovitti non aveva mi dato il permesso di utilizzare i suoi personaggi
per quello scopo. Ma non basta: sui pupazzi c'era un biglietto con
scritto "Creazioni Walt Dinsney"! Non avevo mai visto Jacovitti
così arrabbiato e di conseguenza tornammo verso casa. Il giorno dopo
Jacovitti parlò di questa cosa con un avvocato e fece causa alla
"Lenci". La causa non durò molto tempo: le cose erano molto chiare e la
Lenci fu costretta a pagare (profumatamente) i danni materiali e morali
(anche per avere, oltre tutto, scritto che quei personaggi
erano di Walt Disney!). Risultato: con l'incasso della cifra stabilita
per qualla causa, Jacovitti riuscì a comprare una bella casa!
Un giorno Jacovitti portò alla redazione del "Vittorioso" una storia con i suoi personaggi, fra i quali c'era Zagar (un suo personaggio completamente nero che vagamente si ispirava al "Macchia Nera"
di Topolino). Quando arrivava Jacovitti con una sua nuova storia, tutti
ci precipitavamo per curiosare: al contrario di quasi tutti i
disegnatori, lui non dichiarava mai il soggetto della storia che stava
realizzando, quindi era sempre una sorpresa. Osservammo tutti che Zagar
non aveva la sua classica tuta nera, ma era "nudo", completamente "nudo"!
Dato che a quell'epoca la redazione era spesso frequantata da un prete
che era incaricato di controllare che non venissero pubblicati disegni
non adatti ai ragazzi, il redattore capo rimase terrorizzato! Jacovitti
fece finta di notare quel "particolare" per la prima volta e disse che
evidentemente si era dimenticato di mettere il vestito a Zagar... Così, preso un pennellino con dell'inchiostro di china nero, in poco tempo Zagar fu di nuovo "vestito".
Quella non era la prima volta che faceva degli scherzi ed ogni volta ci
mettevamo tutti a ridere. Insomma, riusciva a creare un clima di
allegria che contribuiva a migliorare anche la qualità del giornale.
Anni
dopo, visto che al Vittorioso le cose, dal punto di vista finanziario,
non andavano molto bene, Jacovitti aveva iniziato a collaborare al
giornale "Il Giorno dei Ragazzi", allegato al quotidiano "Il Giorno" e qui aveva creato il personaggio Cocco Bill, destinato ad avere un notevole successo. Ma, dopo alcuni anni, questo giornale chiuse e Jacovitti iniziò a disegnare per il Giornalino.
Però
evidentemente si era sparsa la voce per alcuni disegni che aveva fatto
solo per se stesso: questi disegni erano quasi tutti certamente
impubblicabili sul Giornalino... Così qualcuno deve averlo avvicinato e
proposto di realizzare un libro "Kamas Ultra" con testi di Marcello Marchesi
(notissimo a quei tempi per diverse sue trasmissioni TV come autore ed
interprete). La cosa non piacque al direttore del Giornalino che gli
fece una bella ramanzina. però lui si giustificò: quelli non erano
disegni porno, erano solo puro divertimento goliardico. Ma non basta,
successivamente collaborò per il periodico "Play Men", una specie di corrispettivo italiano di Play Boy.
Su Play Men Jac realizzò delle pagine indimenticabili, tutte da ridere,
solo che - ovviamente - i disegni non erano proprio per bambini...
Questa volta il direttore del Giornalino lo cacciò via e non ne volle
più sapere di lui.
Nel frattempo io ero tornato a Milano e Jacovitti
era rimasto nella sua casa di Roma. Ci sentivamo spesso per telefono;
lui si confidava molto con me e mi diceva che mi invidiava: vedeva che,
con il mio mensile "Slurp" (Editoriale Domus - vedi altra puntata
apposita...) io mi divertivo, lui invece non si divertiva più con i
fumetti. Inoltre aveva bisogno di lavorare e non sapeva a chi
rivolgersi. Gli proposi di fare un giornale assieme, ma lui non se la
sentiva. Evidentemente aveva bisogno di un lavoro tranquillo e guadagno
assicurato. Gli promisi che avrei fatto qualcosa. Parlai con il
direttore del Giornalino e cercai di fargli capire che ormai era passato
diverso tempo e sicuramente quei disegni di Jac su Play Men li avevano
dimenticati tutti. Non era il caso di farlo tornare? Il
direttore mi aveva detto che ci avrebbe pensato ma mi aveva fatto
capire che la cosa si potava fare. Io telefonai a Jac e lui non mi
sembrò particolarmente contento, mi era sembrato invece un po' insicuro e
mi disse: "Cosa posso proporre? I miei personaggi sicuramente li
avranno dimenticati tutti. Inoltre la gente si sarà anche dimenticata di
me." Io feci fatica a fargli capire che nessuno lo aveva
dimenticato, anzi ero certo che i lettori lo stavano aspettando. Mi
rispose con un "Va bene, ci penserò..." Qualche giorno dopo ero
nello studio del direttore del Giornalino e, mentre parlavamo, suonò il
telefono. Lui tirò su la cornetta e lo vidi particolarmente sorridente e
rispondeva affermativamente all'interlocutore. Poi disse: c'è qui un
tuo amico... aspetta che te lo passo. Io non avevo la minima idea di chi
fosse e quando sentii la voce di Jacovitti fui contentissimo:
finalmente si era deciso! Il direttore posò la cornetta e mi disse: "Jacovitti torna a disegnare per il Giornalino con Cocco Bill!"
Qualche
tempo dopo arrivarono le prime "nuove" tavole di Jac ed andai a
guardarle. Erano sempre belle e molto ricche di particolari e di trovate
umoristiche. Però notai che dopo qualche numero la qualità era
leggermente cambiata e gli telefonai; mi confidò che si faceva aiutare
da un giovane perchè gli era calata molto la vista e poi non si sentiva
molto bene. Quel ragazzo era molto bravo e riusciva ad imitarlo
piuttosto bene. Si trattava di Luca Salvagno, quello che a tutt'oggi continua le tavole di Cocco Bill (con testi e disegni) per Il Giornalino.
Cerca di imitare il più possibile Jacovitti, anche nella maniera di
colorare le tavole, però... si vede - purtroppo - che non è Jac... Del
resto Jacovitti era imitabile ma insostituibile!
(15 - segue)
I due fumettisti Stefano Bonfanti e Barbara Barbieri, conosciuti come "Dentiblù", autori (sceneggiatori, disegnatori, coloristi, editori) del loro ormai famoso personaggio "Zannablù",
si sono felicemente sposati il 3 settembre 2005 a Limite sull'Arno
(Firenze). Sono appena tornato dalla bellissima cerimonia ed approfitto
ora di questo PeroBlog, per inviare loro i miei auguri uniti a quelli degli ormai numerosissimi loro fans.
Ritengo probabile che i due "Dentiblù" leggeranno questi
auguri durante il loro viaggio di nozze che si sta svolgendo proprio in
questi giorni negli Stati Uniti, usando uno dei tantissimi "Internet
Point"...
Quindi: auguri ai Dentiblù di un grande futuro fumettistico!
Carlo Peroni "Perogatt"