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Che faRAI alla RAI?...
Quando mi trovavo a Roma, ho anche lavorato alla RAI (nella sede di via del Babbuino - quarto piano) - per molti anni - per mezza giornata e come "provvisorio"... nel senso che avevo un mio ufficio e diversi incarichi: dall'impaginazione per i vari periodici della Rai-Eri (come ad esempio il "Radiocorriere", "La radio nelle scuole"
ed anche dei libri che venivano distribuiti all'estero) ai disegni per
la TV sperimentale e poi per le prime trasmissioni della TV dei ragazzi, e molto altro ancora, però non mi avevano mai voluto assumere: ricevevo un assegno mensile...
Riguardo il periodico "La radio per le scuole" c'è un aneddoto che penso valga la pena di raccontare. In quel periodo (era intorno alla metà degli anni '50) "La radio per le scuole"
era l'unico periodico che parlava di programmi radiofonici (la TV non
era ancora uscita ufficialmente) realizzati appositamente per essere
trasmessi nelle scuole. Questo periodico era distribuito esclusivamente
nelle scuole ed io ero incaricato di curare l'impaginazione e fare
diverse illustrazioni, però a me così com'era non piaceva l'aspetto
grafico che avevo già trovato quando iniziai quella collaborazione.
Allora proposi al direttore del periodico di modificare l'impaginazione
per tentare di riuscire ad interessare maggiormante i lettori. La
proposta fu accettata con entusiasmo ed io mi misi subito al lavoro.
Cambiai la veste grafica, rendendolo molto più accattivante e più adatto
ai ragazzi. Nell'ambiente della Rai la cosa fu apprezzata e tutti mi
facevano i complimenti, fino a quando un giorno il direttore mi invitò a
partecipare ad una speciale riunione interna della Rai dove si parlava
appunto della nuova veste grafica di "La radio per le scuole".
Non capivo che cosa fosse successo, fino a quando il direttore,
serissimo, si rivolse ai numerosi intervenuti (tutti dirigenti Rai)
dicendo che ammetteva di aver fatto un errore, cioè quello di aver
pemesso il cambiamento della veste grafica e disse che i lettori avevano
protestato ed erano scontenti. I dirigenti chiesero chi era il "colpevole"
di questo fatto ed il direttore indicò me. Ovviamente io ci rimasi
molto male e, per curiosità, chiesi quanti erano quelli che si erano
lamentati. Il direttore rispose che aveva ricevuto "una lettera" di protesta da un insegnante. Io pensai che volesse scherzare, invece mi obbligò a ritornare alla vecchia impaginazione: "Se gli insegnanti protestano, noi dobbiamo ascoltarli". Fu inutile la mia timida osservazione che si trattava solo di "un" insegnante: la decisione ormai era stata presa.
Quanto al "Radiocorriere",
poi, ovviamente in quel periodo parlava esclusimante di programmi che
venivano trasmessi alla radio (come già detto, la TV non era ancora
pronta per iniziare le trasmissioni). A quei tempi alla radio venivano
trasmesse molte commedie (devo dire realizzate molto bene) e poi c'era
una serie di programmi pomeridiani dedicati ai ragazzi con fiabe,
racconti, piccole commedie, e nacquero anche alcuni personaggi molto
amati dai giovani ascoltatori. Una sera, io e Lino Landolfi (allora conosciutissimo per il suo personaggio "Procopio" - vedi diverse puntate precedenti - io invece avevo creato il personaggio "Gervasio" che era pubblicato settimanalmente su "Jolly" ed aveva ottenuto un notevole successo) durante le nostre passeggiate romane, mentre io parlavo del "Radiocorriere"
e facevo notare che era basato più che altro sulle foto e curiosità dei
cantanti ed attori, ma trascurava il pubblico dei ragazzi. Quindi ci
nacque un'idea: perchè non proporre al direttore del "Radiocorriere" di mettere all'interno della rivista un inserto
dedicato solo ai ragazzi? Lo avremmo curato noi ed avremmo illustrato i
vari personaggi ormai conosciuti che però non avevano ancora un volto
poichè erano trasmessi solo dalla radio. Avremmo poi inserito i nostri
due personaggi "Gervasio" e "Procopio"che,
essendo in quel periodo molto conosciuti, avrebbero attirato
maggiormente molti lettori. Parlando tra di noi della cosa ci
entusiasmammo tanto che ormai la ritenevamo cosa fatta. Avevamo pensato
di chiamare questo inserto "Radiocorrierino". Preparammo un "menabò",
cioè un numero preparato a mano - a quell'epoca ovviamente non c'era
ancora il "computer"... - con una bozza abbastanza vicina al risultato
finale che serve per far vedere all'interlocutore come risulterà il
giornale proposto. Fissai un appuntamento con il direttore. Questi ci
stette ad ascoltare fino in fondo e "sembrava" che la cosa lo
interessasse molto, anche perchè in quel modo era molto probabile che le
vendite del settimanale avrebbero potuto aumentare notevolmente.
Infatti ci disse alla fine che il progetto era molto buono, solo che...
lui ci fece uno strano calcolo pseudo-matematico: "Noi stampiamo un
certo numero di copie del "Radiocorriere", le distribuiamo nelle
edicole, ma non tutte le copie distribuite vengono vendute: alcune ci
ritornano indietro. Che cosa ci facciamo poi con il numero di inserti
che ci ritorneranno indietro con le copie non vendute?" Sinceramente
non avemmo nulla da obiettare, anche perchè... non avevamo capito il
suo ragionamento, ma lui intanto ci stava accompagnando alla porta,
facendoci i complimenti per l'idea: "Peccato che non si possa realizzare...".
Io e Landolfi ce ne andammo via in silenzio e per diverse sere
preferimmo non parlare di questa faccenda: non eravamo riusciti a
capirla e preferivamo rinunciarci.
Ho avuto modo in quel periodo di conoscere anche moltissimi scrittori, attori e cantanti. Ad esempio Monica Vitti,
quando non era ancora molto conosciuta, veniva spesso alla Rai per
cercare lavoro; aveva un cagnolino e ogni volta mi chiedeva se potevo
tenerlo nel mio ufficio perchè le sembrava che non fosse educato
presentarsi con un cane. Ogni volta che tornava a prendere il suo cane,
io le chiedevo com'era andata e lei era sempre mesta: "Sarà per un'altra volta"; ma poi ha avuto finalmente il notevole successo che si meritava.
Molti
attori - all'epoca conosciutissimi - li conobbi all'ufficio cassa
mentre facevano la coda per cercare di incassare delle cifre piuttosto
modeste in rapporto a quelle di oggi. Si lamentavano quasi tutti e
qualcuno (non faccio nomi per riguardo) si vantava che faceva della
apparizioni in Tv solo per poter pubblicizzare il loro film (io però
sapevo che non c'era nessun film, lo facevano solo per darsi della
arie...)
Avevo conosciuto Alberto Manzi perchè era amico del mio collega Lino Landolfi ed inoltre ogni tanto scriveva dei racconti e degli articoli per "Il Vittorioso".
Alberto Manzi voleva presentare un progetto per una nuova trasmissione
che aveva in mente, ma quando lo presentai al direttore dei programmi
per ragazzi, questi ascoltò con "finta" attenzione ed infine propose a
me di affidarmi la sceneggiatura di un nuovo programma TV. Provai a
fargli capire che eravamo andati lì per la nuova idea di Alberto Manzi,
ma niente da fare: mi diede appuntamento per un altro giorno per
discutere con lui della sua trasmissione.
Uscimmo dalla porta dello
studio con aria molto perplessa. Per fortuna Alberto Manzi non si perse
d'animo e provò a contattare altri direttori e finalmente, dopo molti
tentativi, la sua idea fu ascoltata: la trasmissione "Non è mai troppo tardi",
quella che Alberto Manzi aveva proposto, sarebbe andata in onda dopo
poco tempo: la prima è andata in onda il 15 novembre 1960. Solo che
decisero di non farla dedicata ai ragazzi, bensì agli analfabeti per
fare in modo che in quel modo moltissima gente potesse imparare a
leggere e scrivere.
Manzi era un maestro di scuola elementare e,
prima di iniziare quella nuova trasmissione, mi chiese di dargli una
mano per fare delle prove proprio nella sua classe. Lui
faceva delle lezioni ai bambini mentre io disegnavo sulla lavagna ciò
che lui stava dicendo. I bambini furono entusiasti. Alberto Manzi spiegò
a quelli della Rai come aveva in mente di realizzare quella
trasmissione, però alla Rai dissero che non potevano permettersi di
pagare due persone: avrebbe dovuto fare tutto da solo. Il problema però
era che Alberto Manzi non sapeva disegnare!... Cioè, faceva degli
schizzi piuttosto semplici, ma non disegni. Quindi Manzi ebbe un'idea:
io avrei preparato prima dei disegni su dei fogli grandi di carta, ma
con un tratto talmente leggero che le telefamere non avrebbero visto e
Alberto avrebbe "copiato" i miei disegni con una matita più grossa e più nera; lui avrebbe fatto "finta" di improvvisare al momento dei disegni.
Cominciò così la prima puntata di "Non è mai troppo tardi", la trasmissione dove Alberto Manzi insegnava l'italiano agli analfabeti
(moltissimi impararono a leggere e scrivere proprio grazie a lui). La
trasmissione ebbe un successo incredibile, i giornali ne parlarono molto
bene; uscirono molti articoli dove dicevano anche che "se in Italia i maestri sapessero disegnare come Alberto Manzi, i ragazzi imparerebbero di più".
Ma non seppero mai che in effetti Manzi non sapeva disegnare... sapeva
fare degli schizzi ma non dei disegni. Con l'andare del tempo, però,
Alberto Manzi imparò a migliorare sempre più i suoi "schizzi" fino a
quando poteva realizzare le trasmissioni senza aver bisogno del mio
apporto. Io ne fui felice, anche perchè... con quel lavoro non ci
guadagnavo niente, tranne il fatto di aver fatto un favore in nome
dell'amicizia.
Manzi era anche un bravissimo scrittore e vinse vari premi, come il "Premio Collodi" nel 1948 con il suo libro “Grogh, storia di un castoro” del 1952. Quando, nel 1955, uscì un altro suo libro "Orzowei"(successivamente ne scrisse anche molti altri) mi regalò una copia e ci mise una dedica "profetica": "questo libro varrà 10 milioni fra 10 anni". Quando, nel 1976, trasmisero in TV la serie "Orzowei" fu un grosso successo di pubblico e critica (anche
grazie alla sigla musicale dei fratelli De Angelis - alias "Oliver
Onions" - che viene trasmessa spesso anche oggi da molte radio). Io
telefonai a Manzi ricordandogli la dedica che mi aveva scritto sul
libro, ma lui non si ricordava, però gli fece piacere: forse quella
dedica gli aveva portato fortuna...
Alla Rai in quel periodo in TV si facevano anche degli esperimenti: io riuscii a realizzare - penso per primo al mondo - dei disegni animati in diretta!
Mi spiego meglio: poiché la cifra a disposizione non permetteva di
poter realizzare dei disegni animati veri e proprio, io ebbi un'idea:
far muovere dei veri "cartoni" disegnati, sagomati e colorati...
Questi disegni erano attaccati a delle guide e da ogni parte c'eravamo
noi che le tiravamo a mano mentre lo speaker raccontava delle fiabe.
Queste fiabe però non erano le solite, classiche fiabe, ma nuovissime:
erano state scritte appositamente da Alberto Manzi.
Mentre ero alla Rai, conobbi anche il famosissimo Angelo Lombardi, che conduceva (ogni martedì, a partire dal febbraio del 1956) una trasmissione seguitissima: l'amico degli animali. Era diventata famosa la sua frase d'inizio delle sue trasmissioni: "Amici dei miei amici buona sera". Lombardi presentava molti tipi di animali in diretta TV; al suo fianco c'era una conduttrice, Bianca Maria Piccinino, ed un aiutante, Andalù
(molto amato specialmente dai bambini). La trasmissione L'amico degli
animali era un po' sul tipo dell'attuale "Alle falde del Kilimangiaro",
"Quark" o "Timbuctu" ma la caratteristica principale di quella
trasmissione era la facilità con la quale Angelo Lombardi (assieme ad un
gruppetto di suoi aiutanti) maneggiava gli animali, molto spesso feroci
o pericolosi come leoni, serpenti, ecc... Il fatto poi che il tutto
avvenisse in diretta, aumentava l'apprensione nei telespettatori.
Comunque si deve a Lombardi la nascita in Rai del filone "scientifico educativo" e si deve a lui se tante persone incominciarono a guardare la natura con uno spirito diverso da quello dei cacciatori.
Visto
il notevole successo della trasmissione, Angelo Lombardi curava anche
delle rubriche per vari periodici. Per uno di questi gli occorrevano dei
disegni e mi chiamò per chiedermi se potevo realizzare io i disegni.
Quindi mi invitò nel suo studio per parlare di quel lavoro. Così
dopo qualche giorno mi recai nel punto da lui indicato. Era uno studio
non tanto grande, però con molte foto alle pareti e - purtroppo -
diversi animali impagliati in giro. C'erano anche alcune gabbie di
piccole dimensioni con dentro alcuni animali, ma non ebbi il tempo di
osservare quali tipi di animali fossero. Parlammo dei suoi articoli e le
relative illustrazioni che avrei dovuto fare. Dato che Lombardi, quando
si parlava di animali si infervorava e si entusiasmava, la cosa si
prolungò per alcune ore e ad un certo punto vidi che si era fatto tardi e
pensai di telefonare a mia moglie per tranquillizzarla. Così chiesi a
Lombardi se potevo usare il suo telefono. Lui mi disse che era situato
nello studio accanto. Io mi diressi verso la porta che era socchiusa ed
all'interno c'era penombra poiché la finestra non era completamente
aperta. Intanto che mi avviavo, mi disse: "Entri pure; il telefono si trova sul mio tavolo".
Proprio quando ebbi individuato in qualche modo la sagoma del telefono e
stavo per prendere la cornetta, mi gridò dall'altra stanza "Attento al coccodrillo!"
Io mi bloccai impietrito: conoscendolo, evidentemente sul tavolo del
suo studio c'era un coccodrillo in libertà! Così uscii velocemente
spaventatissimo. Lombardi mi chiese come mai non avevo fatto la
telefonata ed io, un po' titubante, gli dissi che... io non ero
coraggioso come lui, e la presenza di un coccodrillo... Ma lui mi
interruppe: "Ma no, non è un coccodrillo vivo, è il mio portacarte sul
tavolo che è fatto di puro coccodrillo e non voglio che si rovini." Io
ero tutto sudato sia per l'emozione e sia per la vergogna dell'errore
fatto che me ne andai quasi subito. Gli dissi che non avevo tempo per
fare quei disegni e scappai di corsa.
Da quel giorno non vidi più
Angelo Lombardi, però dopo diversi anni, quando ormai la trasmissione
era terminata da tempo, portai i miei figli al Museo di Storia Naturale di Roma e lì dentro scoprimmo che il guadiano del Museo era proprio Andalù, quello della trasmissione "L'amico degli animali"!
I miei figli gli corsero incontro come se fosse un loro amico e lui,
sorridendo disse che quel posto glielo aveva trovato Angelo Lombardi.
Lui lì si trovava molto bene perchè lì dentro, anche se era tutto quasi
"finto" e gli animali erano tutti "impagliati" gli sembrava di essere in mezzo alla natura.
Avevo
detto che alla Rai mi davano un assegno mensile, beh, dopo diversi anni
chiesi di essere assunto regolarmente. Mi dissero che la cosa era
possibile, però avrei dovuto sostenere un piccolo esame; si trattava di
scegliere un disegno fra diversi sparsi su un tavolo: erano tutti dei
manifesti pubblicitari. Io scelsi subito quello di "Punt e Mes"
per la sua semplicità ed efficacia. Mi bocciarono. Seppi poi il motivo: a
quelli della commissione non piaceva l'autore di quella pubblicità, Armando Testa! (Lo
studio Armando Testa ha realizzato moltissime pubblicità, tutte di
successo. Anche oggi sono in giro per le strade delle nostre città una
miriade di manifesti pubblicitari, come ad esempio quelli per la "Esselunga" che sicuramente è stata vista ed apprezzata da tutti).
Queste
cose succedevano - e... forse succedono anche oggi - solo alla Rai...
Comunque, dopo quell'esame, mi cacciarono dal "mio" ufficio e dovetti
anche smettere con le varie collaborazioni alle testate Rai ed alle
trasmissioni per la TV.
NOTA: fui richiamato molti anni dopo, negli anni '90, a Milano, per la trasmissione per ragazzi "Solletico", dove partecipavo (in diretta) disegnando di volta in volta su un grande pannello il tema della puntata, e spesso facendomi aiutare da alcuni ragazzi presenti alle riprese.
Ho partecipato anche molte volte alla trasmissione "Slurpiamo" (ispirata al mio personaggio "Slurp!") presentata da Ale, Alex e Federica; Federica era proprio la ormai famosa Federica Fontana che aveva debuttato in televisione proprio con quella trasmissione per l'emittente dedicata ai ragazzi "Junior TV" (mi sembra che ora questo circuito abbia chiuso le sue trasmissioni). La trasmissione era completamente "slurposa", cioè sia la scenografia e sia i presentatori usavano spesso un linguaggio "slurposo", proprio come usavo fare sulla rivista "Slurp!"
(Editoriale Domus). Rifacendomi un po' all'esperienza avuta alla Rai
nel periodo quando ero un "quasi dipendente", in una puntata di "Slurpiamo" io riuscii a presentare un disegno animato di Slurp in diretta!
Beh, il "trucchetto" era semplice: avevo preparato in precedenza alcuni
disegni di Slurp in varie posizioni e, d'accordo con il regista, feci
riprendere, prima dell'inizio della trasmissione, quei disegni in
sequenza. Durante
la trasmissione io dichiarai che avrei realizzato "per la prima volta
al mondo" un disegno animato in diretta; così mi misi a disegnare -
piuttosto velocemente - Slurp nelle stesse posizioni che avevo fatto in
precedenza. La telecamera seguiva questa operazione ed immediatamente
quei disegni presero vita: Slurp saltava! In effetti il regista mandava
in onda i disegni in sequenza che aveva ripreso prima. L'effetto fu
notevole e molti giornalisti volevano sapere come avevo fatto, ma... la
cosa rimase un segreto... fino ad ora! Successivamente riuscii a
convincere il regista a "doppiare" lui la voce di Slurp. Con un apposito
aggeggio che serve per modificare le voci, studiammo quella che,
modificata, poteva essere la voce di Slurp. Una volta trovata quella
giusta, segnammo le coordinate per poterla ripetere in seguito; così,
ogni volta che il personaggio doveva commentare da fuori campo, il
regista parlava con la voce di questo personaggio. "Slurpiamo"
era aveva avuto un notevole successo ed era seguitissima dai ragazzi di
tutta Italia. Erano in moltissimi quelli che telefonavano o scrivevano -
anche attraverso il sito di questo personaggio "demenziale": www.perogatt.com/slurp! - per chiedere quando sarebbe tornato in edicola "Slurp!", il loro personaggio preferito. Io ho sempre risposto che stavo aspettando un Editore "coraggioso"... ma a tutt'oggi non ne ho trovati: speriamo domani ;-)
(14 - segue)
Nevio Zeccara e la fantascienza
Come già accennato in un'altra puntata, il nostro amico e collega Nevio Zeccara era appassionatissimo di fantascienza;
collezionava tutto quanto riguardasse la fantascienza: locandine di
film, libri, riviste... Ovviamente, per i fumetti, Zeccara preferiva
disegnare quelli di genere fantascientifico. Era anche un maestro nelle
grandi illustrazioni tecniche e scientifiche che riguardavano
l'astronomia e progetti per future basi spaziali.
Una volta Lino Landolfi (del quale ho già parlato spesso) aveva in mente di disegnare una storia a fumetti per Il Vittorioso con il suo personaggio Procopio;
per la prima volta voleva fare una specie di storia di fantascienza
dove c'era anche una grande astronave, un po' a forma di disco volante,
che Landolfi aveva studiato e disegnato. Però,
data la notevole pignoleria di Landolfi, lui faceva molta fatica a
cercare di ricostruire quella speciale astronave in tutte le varie pose
ed ebbe un'idea: mostrò a Nevio Zeccara lo studio di quell'astronave e
gli chiese se riusciva a preparargli un modellino. Detto fatto: Zeccara
si mise subito al lavoro ed in breve tempo l'astronave era bella e
pronta! Così, da quel momento, Landolfi metteva quel modellino sulla sua
scrivania e lo spostava per poterlo vedere dai vari punti nei quali
servivano per la storia. Purtroppo non ricordo il titolo di quella
storia e non riesco a trovare almeno una copia di un numero del Vittorioso
dove fu pubblicata, altrimenti avrei messo qui almeno una vignetta.
Magari, se fra chi legge c'è qualcuno che potesse fornirmi qualcosa al
riguardo, gliene sarei grato; mi si può contattare all'indirizzo peromail@perogatt.com e, se mi darà il permesso, metterò anche il suo nome per i ringraziamenti.
Nel
frattempo basta cercare di immaginarsi la soddisfazione di Zeccara di
poter finalmente avere l'occasione di poter realizzare un modellino
(abbastanza grande) di un'astronave e poi Landolfi che finalemnte
riusciva a disegnare quell'astronave vista dai punti più strani.
Insomma, in quel periodo i miei amici-colleghi Zeccara e Landolfi erano
tutti e due felici!
Era il 1953 e una sera decidemmo di andare in gruppo (Nevio Zeccara, Lino Landolfi, Ruggero Giovannini ed io) a vedere la prima di un film di fantascienza che era stato annunciato come molto spettacolare: la "Guerra dei mondi" (film che poi è stato rifatto ultimamente: io questo nuovo film non l'ho ancora visto, ho solo notato dai trailer che è strapieno di effetti speciali; negli anni '50 gli effetti speciali
erano molto semplici, ma ciò non significa che non riuscissero a creare
una certa atmosfera. A questo proposito, cosa dire di moltissimi fil di
Alfred Hitchcock che, in bianco e nero, riuscivano a creare un
clima di paura, molto di più di quelli attuali pieni zeppi di colori? Ma
questo è un altro discorso che mi piacerebbe affrontare, ma ci
porterebbe troppo lontano...)
Torniamo alla sera della prima di "Guerra dei mondi" con i miei amici-colleghi.
Dato
che al cinema non avevamo trovato quattro sedili affiancati, ci sedemmo
su due file: Zeccara e Landolfi davanti ed io e Giovannini dietro - io
mi trovavo dietro Zeccara, Giovannini dietro Landolfi. Ah, dato che ci
siamo, mi sono sempre dimenticato di dire che Giovannini e Landolfi
erano cognati: i due avevano sposato due sorelle. I due erano amiconi,
però Giovannini, essendo un po' più grande di Landolfi, si divertiva
spesso a "punzecchiarlo" allegramente. Landolfi si spazientiva spesso,
ma questo contribuiva solo a far sì che Giovannini insistesse ancora di
più...
Quella sera Zeccara era felice come un bambino: finalmente una
volta tanto eravamo tutti assieme per vedere un film di fantascienza!
Quando iniziò il film, io notai che Zeccara lo seguiva con la massima
attenzione. Devo comunque dire che, per quei tempi, il film era
realizzato piuttosto bene ed i "mostri" riuscivano ad incutere un certo
terrore.
Ricordo solo un particolare: gli alieni che venivano ad
invadere la terra avevano tre dita (pittosto lunghe) e si servivano di
speciali macchine dalle quali partiva una specie di braccio snodabile
che terminava con un "triplice" occhio; questo si intrufolava anche
dentro le case per snidare eventuali terrestri nascosti. Alcuni
terrestri erano riusciti a prendere un pezzo di questa specie di braccio
meccanico, così avevano scoperto che quegli alieni avevano una vista
diversa dalla nostra ed era basata su tre colori divisi in tre settori
distinti. Insomma, a farla breve, era evidente che il numero tre, per
gli alieni era alla base di tutto.
Nel film la gente, alla vista di quelle macchine, era terrorizzata. Quando stava esplorando dei locali, quella specie di braccio meccanico emetteva un rumore particolare, una specie di bzzip bzzip bzzip... che faceva venire un po' la pelle d'oca.
Come
ho detto, io mi trovavo seduto dietro Zeccara e, quando terminò il
primo tempo e le luci della sala non si erano ancora accese, io allungai
piano piano il mio braccio con la mano con tre dita ben evidenti e mi
avvicinavo piano piano alla spalla di Zeccara mentre facevo una specie
di imitazione del rumore del film: "bzzip... bzzzip... bzzzip..."
Per
la paura, Zeccara saltò in aria ed emise un urlo fortissimo, seguìto da
quello di Landolfi. La gente si spaventò nel sentire quelle grida di
terrore in sala, ma poi quando le luci si furono accese, la gente si
accorse dello scherzo che avevo fatto e si misero a ridere un po' tutti.
Ma mi era sembrato una risata molto sforzata: in fondo in quel cinema
avevano avuto paura un po' tutti.
Quando siamo usciti, io e Giovannini seguitavamo a mettere avanti il braccio con tre dita e facendo quello strano verso "bzzip... bzzzip... bzzzip...", ma gli altri due non si divertivano, evidentemente a loro due la paura non era ancora passata del tutto... :-P
(13 - segue)
Allievi e discepoli...
Negli anni '40, a Senigallia (Ancona), realizzai "Le avventurette di Giovannino Semola"
- un albo di piccolo formato con un giovane studente (purtroppo non
ricordo il nome ed ho anche perso l'unica copia di quell'albetto). Quel
giovane era appassionato di letteratura e riuscii a coinvolgerlo nello
scrivere un "racconto con immagini", con molte illustrazioni,
un po' a mezza strada fra il racconto e il fumetto. ho poi saputo che
questo giovane si era messo a fare lo scrittore, anche se non di
fumetti...
Anni dopo, a Roma, conobbi nella redazione del Vittorioso
e dintorni, un ragazzo che arrivava molto spesso per curiosare
perchè - ha confessato - era appassionatissimo di fumetti e gli piaceva
disegnare. Si chiamava Alberto Catalani e da subito aveva cominciato a firmare i suoi disegni con un semplice pseudonimo: ALBE.
Ogni tanto portava dei suoi disegni de io gli davo in continuazione dei
suggerimenti e consigli ed alla fine, quando vidi che cominciava ad
essere abbastanza pronto, lo coinvolsi realizzando con me alcune storie
(specialmente con il mio personaggio Gervasio ed anche diverse storie piuttosto pazze) per "Capitan Walter", uno dei settimanali del Vittorioso e fumetti a puntate per Il Giornalino.
Diversi anni dopo, non so come mai, ci perdemmo di vista ed io
continuai a realizzare le mie storie da solo, e, quando nel 1963, tornai
a Milano, seppi che ALBE aveva fatto strada e
collaborava a diversi periodici, alcuni piuttosto importanti. Aveva uno
stile del tutto particolare, insomma, non si era lasciato "influenzare"
da me. La cosa mi fece molto piacere. Purtroppo poi mi giunse una
notizia non bella che riguardava ALBE, ma nessuno mi
seppe dire di più. Fino ad oggi sono rimasto con il dubbio e non sono
mai riuscito a sapere nulla di preciso nonostante diverse ricerche su
Internet. Anzi, approfitto per chiedere a chi legge questo mio PeroBlog
di farmi sapere qualcosa di preciso (e documentato) riguardante Albe.
Per questo ringrazio tutti anticipatamente.
Quando lavoravo alla "Pagot Film" (inizialmente era chiamata "Organizzazione Pagot"), una delle principali ditte per la realizzazione dei disegni animati e dove realizzai moltissimi "Caroselli"
(cosi' erano chiamati gli speciali spot di quell'epoca) ebbi anche
l'occasione di realizzare per primo (soggetto, sceneggiatura,
story-board, animazioni, regia) i "Caroselli" di Calimero,
il famoso pulcino nero che ebbe un enorme successo ed anche oggi tutti
lo conoscono. Solo che Calimero ha diversi papà... A quell'epoca io ero
dipendente di quella ditta e tutto ciò che realizzavo era di loro
proprietà. Quando Calimero ebbe il notevole successo,
sui giornali appariva il nome del creatore, cioè uno dei due titolari
della ditta, i fratelli Pagot. Quando una volta lessi sul giornale
che si era svolto il festival della pubblictà e gli spot vincitori
risultarono: Calimero, Gatto Silvestro, Cocco Bill.
Quei Caroselli li avevo realizzati tutti interamente io (per Gatto
Silvestro e Cocco Bill il copyright era dei rispettivi autori), ma
ovviamente la firma risultava quella dei fratelli Pagot che ritirarono i
premi. Però non avevano detto niente ai dipendenti e nemmeno a me.
Quando, con il giornale in mano, andai da uno dei due fratelli per far
notare che "avevamo" vinto al festival della pubblicità, questi mi
rispose: "Va bene, va bene, però non perda tempo, Peroni. Vada subito a
lavorare". Io ci rimasi molto male. Ovviamente non mi aspettavo una
parte del premio, ma almeno un piccolo "grazie". Invece...
Allora
presi la mia decisione: il giorno dopo mi licenziai e mi misi in proprio
a fare i disegni animati per i Caroselli e le ditte e le agenzie
pubblicitarie si rivolsero subito a me per farmi realizzare i Caroselli.
In quel periodo noi realizzavamo un Carosello ogni tre giorni: un tempo
minimo con la massima qualita' e puntualita'.
Non so come mai, so solo che poco tempo dopo "quella" ditta chiuse i battenti...
Alla Pagot Film conobbi diversi giovani animatori ai quali insegnai molto volentieri alcuni "trucchi del mestiere" e le varie tecniche dell'animazione.
Quando,
dopo un po' di tempo, tre di quei giovani se ne andarono da quella
ditta, si misero d'accordo per aprire assieme una loro ditta per
realizzare i disegni animati: ebbero un notevole successo sia in Italia
che all'estero.
Un'altro, che avevo seguito in maniera maggiore dato che praticamente aveva iniziato a fare le animazioni partendo completamente da zero, si chiamava Daniele, ma si faceva chiamare Dani. In seguito mi feci aiutare da Dani
per alcuni spot animati ed anche per alcuni fumetti. Andavamo molto
d'accordo, ma una persona dell'ambiente (non faccio il nome per
correttezza e poi perche' ormai e' passato molto tempo) fece in modo di
allontanarlo da me e farlo lavorare per lui. Cosi' questo sodalizio e
soprattutto quell'amicizia si sfascio'. Io rimasi molto dispiaciuto dato
che lo sentivo un po' quasi come uno dei miei figli dato che gli avevo
insegnato moltissime cose riguardanti l'animazione ed i fumetti.
Lo
rividi dopo molti anni in una mostra di disegni umoristici; io non
l'avevo riconosciuto dato che nel frattempo si era lasciato crescere la
barba, e fu lui a chiamarmi; gli dissi che, mi spiaceva, ma non mi
ricordavo chi fosse e lui mi disse che era Dani. Mi
spiacque molto per la gaffe, ma non lo avevo proprio riconosciuto, anche
perché la sua uscita dal mio studio mi aveva molto dispiaciuto e la mia
mente evidentemente aveva rimosso quel nome e anche la sua fisionomia.
Negli anni'80, quando avevo la mia ditta "CPPC" (Carlo Peroni Produzione Comics), dei vicini di casa mi avevano presentato un giovane che "faceva molti disegni buffi": Roberto Bargna.
Venne a trovarmi e mi mostrò dei suo diari scolastici dove nei bordi
vuoti lui aveva fatto una miriade di disegnini di tutti i tipi. La cosa
mi piacque e lo misi ben presto alla prova facendogli disegnare una
pagina per il "microinserto" chiamato "Slurp!" nel settimanale "Più". Il
risultato fu piuttosto buono, doveva solo "affinare" un po' lo stile.
Però ho scoperto subito che era anche molto bravo anche a
scrivere, quindi gli insegnai le basi per realizzare dei soggetti e
delle sceneggiature per i fumetti. Riuscì a scrivere molto bene (una
volta, in un concorso indetto da Radio Deejay, vinse il primo premio per
il miglior testo!). Quindi lo feci collaborare anche al mio
mensile "Slurp!". Successivamente, si mise anche a realizzare - in proprio - le vignette di prima pagina per i quotidiani "Corriere della Sera" (edizione di Como) e per "La Provincia" (di Como). Ormai queste vignette sono diventate un appuntamento fisso per i lettori comaschi.
Si firma "Orby" ed ha un suo "sito provvisorio" da anni ospitato da me: www.perogatt.com/roberto.bargna ed aspetta solo di avere un po' di tempo per completarlo :)
Dopo alcuni anni, quando navigavo molto su Internet, scoprii un programmino (ICQ) che permetteva di "chattare" anche in privato. Così lì conobbi due giovani (un ragazzo e una ragazza) che si presentarono con uno strano nome: Dentiblù.
Pensai che fosse "solo" il loro nickname, invece poi scoprii che loro
due disegnavano e scrivevano i testi e si firmavano appunto in quel
modo: Dentiblù. Non seppi mai il perché della scelta di
quel nome, ma era talmente strano che si ricordava facilmente. Con
questi due ragazzi "chiacchierammo" molto attraverlo la chat, poi ci
scambiammo gli indirizzi e-mail e proseguimmo le chiacchierate via
e-mail ed a volte anche per telefono. Seppi così che i due ragazzi erano
toscani e mi divertiva molto la loro maniera di scrivere - e di parlare
- con delle frasi nel loro dialetto (loro - ovviamente - insistono nel
dire che quello non è un dialetto, ma è la "lingua italiana", anche
se nel resto d'Italia si parla in maniera completamente diversa... Però
la loro parlata è sempre molto piacevole da ascoltare!). Mi mandarono
dei loro disegni. Erano piuttosto originali, anche se - ovviamente -
erano ancora agli inizi... Diedi loro delle dritte per riuscire a
realizzare al meglio i fumetti; loro mi ascoltarono ed ogni volta mi
mandavano altri disegni, sempre migliori, che io osservavo e...
criticavo; loro seguivano tutte le mie indicazioni ed ascoltavano (cosa
piuttosto rara al giorno d'oggi) i miei suggerimenti. Decisi ad un certo
punto di mettere i loro disegni su uno dei miei siti: "PEROCOMICS" dove c'era, tra l'altro, una rubrica dedicata agli "Esordienti". Così i Dentiblù (Stefano e Barbara) cominciarono a farsi conoscere ufficialmente.
Ad
un certo punto trovammo il modo di incontrarci. In una nota
manifestazione che si svolgava a Laveno, sul Lago Maggiore, c'era una
mostra annuale di vignette umoristiche a tema: il "Weekend degli Umoristi"
(con un grande successo di pubblico; peccato che, cambiato il
presidente della Pro Loco, decisero di chiudere quella bellissima
manifestazione). Dato che io facevo parte dell'organizzazione di quella
manifestazione, invitai anche i due Dentiblu' a partecipare alla mostra. Lì Stefano
si presentò con una maglietta che aveva disegnato lui: c'era la faccia
di un cinghiale, piuttosto originale e divertente (in toscana èrisaputo
che ci sono molti cinghiali in libertà, quindi penso che solo dei
toscani potevano pensare di usare un cinghiale come personaggio
umoristico). Quel cinghiale (con una strana caratteristica: aveva le
zampe staccate dal resto del corpo) era preso da un loro disegno che
avevano fatto per un concorso ed avevano vinto proprio con quel disegno;
si intitolava "L'intruso" e c'erano molti allegri maiali ed un immusonito cinghiale. Era evidente qual era l'intruso... Ebbene, proprio quell'intruso era destinato a diventare famoso...
A Laveno io dissi ai due ragazzi che era un peccato non approfittare
per realizzare un fumetto basato proprio su quel personaggio. Dato che
aveva un grosso paio di zanne colorate di blu (per evidenziare il loro
nome d'arte "Dentiblù"), io proposi loro che, visto che esisteva un personaggio di grande successo chiamato "Zanna bianca" perché non chiamare questo cinghiale "Zannablù"?
La cosa piacque e poco dopo mi mandarono vie e-mail le loro prime
tavole di questo nuovo personaggio. Avevano deciso (dietro mio consiglio
da... incosciente) di realizzare un albo tutto da soli con questo
personaggio. Io feci i complimenti per i loro sforzi di migliorare il
disegno e feci anche alcune critiche che i due ascoltarono subito; ma
non tutte... Infatti, su Zannablu' i cinghiali parlano
in un linguaggio particolare (inventato dai due ragazzi Dentiblù) e
facevo notare loro che a volte quel tipo di linguaggio era un po' di
difficile lettura, ma loro ormai avevano deciso: su quel punto non hanno
mai voluto cedere: i chinghiali parlano il "cinghialese" ("cignalese"
come dicono i due), quindi devono seguitare a parlare in quel modo. (Su
questo punto non ho mai saputo decidere chiaramente: forse avevano
ragione loro, visto anche il successivo notevole successo di
vendita?...) Poi mi mandarono, sempre via e-mail, lo studio della
testata. A me non piacque tanto e feci notare loro che la testata di un
giornale o di un albo è come una specie di marchio di fabbrica: se
convince la testata ci sono molte probabilità che la gente acquisti
l'albo e soprattutto se lo ricordi. Così schizzai un "logo" per
la testata, lo inviai e loro subito eseguirono il disegno "quasi"
definitivo (infatti feci modificare ancora alcuni piccoli particolari e
la cosa era fatta). Dopo qualche tempo finalmente uscì l'albo, ma i due
ragazzi non avevano la minima idea di come fare per riuscire a
distribuirlo... Così li convinsi a venire a Milano (ospitati a casa mia)
e li presentai a Nessim Vaturi, il titolare della famosa "Borsa Del Fumetto"
(che è una delle librerie piu' conosciute in Italia specializzate in
fumetti). Vaturi diede subito loro un incarico: studiare un nuovo
personaggio che lui aveva in mente: "Bathman"
(un piccolo gioco di parole che unisce l'Uomo Ragno con Batman, ma in
inglese "bath" significa "bagno"...). Loro accettarono con entusiasmo,
ma... in quel momento il loro problema principale era la distribuzione
del loro albo. Vaturi offrì loro uno spazio nel suo stand di una delle
mostre del settore dei fumetti (non ricordo bene se era a Milano oppure a
Lucca). La vendita del loro albo andò benissimo. Però quel primo albo
lo avevano realizzato tutto a colori ed era piuttosto costosa la stampa e
la lavorazione. Io suggerii loro di fare il numero successivo in nero,
con l'aggiunta dei "retini". L'albo andò ancora meglio del primo e a
questo ne seguirono altri... Da allora, i Dentiblù hanno eseguito vari
lavori per Vaturi e lui ha seguitato a far realizzare vari personaggi,
come altre puntate dell'albo Bathman e Roby Nud
(tutti e due con testi di un "misterioso"... Navad), inoltre hanno
preparato interamente (e curato per diverso tempo) un sito molto
particolare particolare per la Borsa del Fumetto (¡Otro.it!)
e ad offrire uno spazio (sempre più grande e sempre più in vista) sui
suoi stand. Ad un certo punto i Dentiblù, stavano ricevendo varie
offerte di lavori per l'Italia e per l'estero, così crearono una ditta
vera e propria e.. si allargarono anche come Editori. Arrivarono quindi
ad avere nelle fiere specializzate uno stand tutto loro: decorato in
maniera particolare con gli stessi ambienti delle loro storie. Hanno già
un nutrito gruppo di fans che li seguono fedelmente nelle loro
partecipazioni alle fiere o mostre e questi danno un tono di allegria
particolare: si nota subito quando èarrivato
il gruppo dei fans: salame, pamigiano e vino sono lì sempre pronti...
La scalata dei Dentiblù è appena agli inizi: sentiremo parlare sempre
più di questi due ragazzi (che nel frattempo sono un po' cresciutelli),
ne sono certo. Per ogni loro successo io ne ho piacere percheè ormai
fanno parte della nostra famiglia, quindi li considero un po' come altri
due figli; come ho già detto, oltre tutto, in occasione di
manifestazioni sui fumetti a Milano o Torino, i due ragazzi vengono
sempre ospitati - con molto piacere - in casa nostra. Inoltre, da tempo
esiste una specie di "scambio di cortesie": dato che Barbara è molto
esperta di Photoshop (uno dei più conosciuti programmi che si usa molto
anche per la colorazione dei fumetti), io le chiedo spesso consigli e
suggerimenti per usare diverse funzioni che non conosco ancora bene;
Stefano invece è, anche se lui non lo vuole ammettere, un genio del
computer e... io lo "sfrutto" chiedendogli spesso una mano per aiutarmi a
risolvere dei problemi che a volte (ehm... spesso...) ho con i miei
computer... Ah, dimenticavo, da molto tempo sulla mia Rivista
Elettronica PEROCOMICS i Dentiblù sono stati promossi: dalla rubrica degli "Esordienti" sono passati di diritto a quella di "Friends",
cioè dove io ospito un ristretto numero di amici scelti da me. Peccato
che quella loro pagina non è quasi mai aggiornata: realizzano tanti
numeri di Zannablù (ormai ho perso il conto) che non riesco a mettere
sempre le recensioni di tutti i numeri. Beh, vuol dire che, chi vuol
saperne di più, può recarsi presso il loro divertente sito: www.dentiblu.it
dove dicono tutto - o quasi - di loro (si trovano anche alcuni
bellissimi e visitatissimi "trailer" di alcuni albi di Zannablù!), oltre
a notizie interessanti ed anche una rubrica di "scherzi" che io
consiglio sempre di visitare a chi visita i miei siti, specialmente
quello appunto dedicato agli scherzi: "Peroskerzi" (www.perogatt.com/peroskerzi). Quanto al futuro dei Dentiblù, sono certo che ne sentiremo parlare sempre di più: le loro "sorprese" sono sempre pronte ad uscire allo scoperto...
Ed
oggi? Beh, i "ragazzi" che mi consultano e che mi chiedono consigli sui
loro disegni sono sempre molti ed ogni tanto capita qualcuno che
ritengo valga la pena di aiutare e consigliare. In questo momento ce ne
sono alcuni che stanno "studiando" un po' il fumetto e, visto il loro
impegno e soprattutto una buona dose di entusiasmo, sono certo che
usciranno allo scoperto molto presto! Chi sono? Appena saranno "pronti"
lo farò sapere, per il momento è meglio che rimangano ancora per un
pochino nell'ombra.
Ma ce n'è uno che ho scoperto ultimamente proprio in uno dei miei blog (su Splinder: http://peroblog.splinder.com/): Remo Fuiano: ha un blog anche lui - visitatissimo - (http://www.undergroundboy.splinder.com/) e
ci teniamo spesso in contatto perchè ho notato che ha uno stile del
tutto particolare. Con lui, sinceramente, non me la sento tanto di
suggerirgli di modificare il suo stile, dato che è particolarnente
strano ed originale e non vorrei "rovinarlo"... A volte mi
invia dei suoi disegni, però per il momento seguito a dargli "solo"
dei consigli per migliorare la parte "tecnica" e un po' di... anatomia.
Per il resto sono curioso nel vedere quali saranno i suoi sviluppi
e gli auguro di cuore di avere molto successo, anche se nel campo dei
fumetti attualmente non c'è molto lavoro, però sono certo che in alcune
riviste specializzate lo ospiteranno sicuramente molto volentieri:
nelle Fiere dei fumetti ce ne sono diverse: basta
provare... Ovviamente i primi tempi ci sarà molto poco da
guadagnare, ma, una volta che ci si è fatti conoscere dal pubblico, le
tariffe posso aumentare. Solo un piccolo avvertimento: attenzione ai
"furbastri": purtroppo ne esistono... Occorre stare sempre molto in
guardia.
A volte ci sono dei colleghi che mi chiedono chi me lo fa
fare a "perdere" tutto quel tempo, io rispondo che, secondo me, non è
giusto tenere per sè quello che si è imparato, specialmente dai "vecchi"
colleghi: occorre dare una mano ai giovani che se lo meritano. Non
sempre la gratitudine esiste, ma non importa: la nostra, quella dei
fumettisti, è una categoria un po' particolare ed occorre darsi una mano
l'uno con l'altro, altrimenti si rischia di rimanere - ingiustamente -
nell'ombra.
(12 - segue)
Quella sera che conobbi il Principe Antonio De Curtis
Detto così, magari qualcuno si chiederà chi sia questo Principe Antonio De Curtis, dicendo invece Totò
la cosa comincia a farsi più chiara... Infatti il famoso comico, per me
il più grande comico italiano, Totò "sembra" che avesse delle origini
nobiliari. Se la cosa sia vera o no non l'ho mai saputo per certo, so
solo che Totò ci teneva molto (vedere le note in basso, prese "in prestito" da uno dei tanti siti su Totò).
Il
fatto è che aveva avuto una infanzia piuttosto difficile: povertà,
molta difficoltà a trovare da mangiare, poi le enormi difficoltà per
riuscire a trovare un lavoro.
Aveva un viso particolare: un mento
stranamente storto che in un certo modo fu la sua fortuna: riuscì a
farsi conoscere, all'inizio, proprio grazie a questo viso strano. Faceva
delle smorfie incredibili: frutto di moltissimi spettacolini che aveva
fatto nell'avanspettacolo: una particolare forma che aveva avuto un
notevole successo, specialmente a Napoli, la sua città. Poi, con
moltissima fatica, riuscì a convincere qualcuno a girare il suo primo
film (sinceramente io sono un pessimo... storico e non ho molta memoria
sui nomi, specialmente i titoli dei film...); a questo ne seguirono
altri e fu un successo sempre crescente. I suoi fans erano praticamente
dappertutto, quindi quando c'era un film con Totò si faceva di tutto per
non perderlo. C'era chi tentava di fare la sua imitazione: questo è
certamente un segno che era diventato famoso, perchè si imita solo chi è
molto conosciuto.
I
produttori gongolavano: Totò era una miniera d'oro, ma per loro... a
lui davano solo gli spiccioli. Comunque è certo un fatto: Totò, quando
era sul set cinematografico, non lavorava, si divertiva! Inoltre,
al contrario di quasi tutti gli altri comici, lui non voleva un testo
scritto che, diceva, lo frenava; preferiva improvvisare. Così gli autori
dei suoi film si limitavano a scrivere un "canovaccio" (una specie di
racconto abbastanza dettagliato di quanto succede nelle scene) e Totò
pensava ad inventare le battute al momento opportuno. Certo è che, chi
gli stava attorno faceva più fatica, quindi era attorniato quasi sempre
dagli stessi attori che lo conoscevano bene e sapevano reagire
prontamente alle sue battute improvvisate. Soprattutto l'attore che gli
faceva da "spalla" (non ricordo il nome... ecco: di nuovo la memoria
storica che fa cilecca... Se qualcuno lo sa, può scriverlo qui, nei commenti)
era fenomenale e non sbagliava mai un colpo. Praticamente è stato
presente in quasi tutti i film di Totò e una buona parte del merito è
stata anche sua. Totò però, fuori dalla scena, si trasformava
completamente: diventava il "Principe Antonio De Curtis" (*); riusciva a
cambiare faccia e atteggiamento in un batter d'occhi. Insomma, io ero
(e sono) un suo fan ed avevo cercato di contagiare i miei parenti e i
miei amici: spesso andavamo al cinema tutti assieme per vedere il nuovo
film di Totò.
Ecco, si diceva "di Totò" e non "con Totò" perchè tutti ci rendevamo
conto che lui avesse avuto una notevole dose di merito sul successo dei
film. Io sono certo che alcuni film, senza di lui, sarebbero stati dei
fiaschi clamorosi: non sempre le idee degli autori erano buonissime, era
Totò che le rendeva valide. Una volta, nella redazione di un giornale,
ho conosciuto un autore dei film di Totò: Metz (non ho mai saputo come
si chiamasse veramente, però si firmava sempre così) e lui mi aveva
confermato quanto avevo immaginato e cioè della facilità-difficoltà
nello scrivere dei film per Totò!
Con l'avvento della televisione,
si pensava che Totò non fosse all'altezza di questo mezzo che ha dei
tempi piuttosto diversi ed è diversa la maniera del modo in cui
recitare. Ma
Totò riuscì a stupire: le sue (purtroppo rare) partecipazioni in TV
sono diventate dei pezzi storici, come ad esempio quando fece una specie
di duetto con Mina in una puntata di "Studio Uno".
Quella
volta Mina era piuttosto impacciata ad essere in presenza di un attore
così grande (non certo come altezza, ma come personalità), però si fece
forza e riuscì a mascherare piuttosto bene il suo imbarazzo.
Quella
scena, come molte altre, è stata successivamente ritrasmessa dalla Rai,
che chi non l'aveva vista in diretta, avrà avuto sicuramente modo di
vederla nelle repliche.
Praticamente sono tutte delle "lezioni di
comicità". Chissà perchè molti comici d'oggi non si riguardano i film di
Totò, cercando di imparare almeno qualcosa...
Beh, mi accorgo che ho parlato di Totò,
come se io fossi un "esperto" di cinema, cosa del tutto sbagliata: io
sono solo stato un suo grande ammiratore (come lo ero, a suo tempo - e
ovviamente anche oggi! - dei grandi Laurel e Hardy, conosciuti meglio in Italia come Stanlio e Ollio). Dicevo che avevo intrapreso una strada... non mia. Mi faccio subito perdonare.
Ero
a Roma, negli anni '50, e come quasi tutte le sere, ero in giro per le
strade di questa città (che in quegli anni era ancora più favolosa); ero
a passeggio con l'amico e collega Lino Landolfi. Ad un certo
punto vedemmo che, poco più avanti, c'era della gente e delle luci.
Pensammo subito che molto probabilmente stavano girando un film. In
quegli anni capitava spesso trovare in giro per Roma dei "set"
all'aperto con attori conosciutissimi ed anche quelli con degli
sconosciuti. Ci avvicinammo, curiosi, per scoprire chi c'era nel film
che stavano girando in quel punto. Cercammo di farci un po' largo tra la
folla e scoprimmo, con enorme stupore, che c'era proprio lui, il grande
Totò! Rimanemmo lì in silenzio a seguire le riprese. Vidi
finalmente come recitava il comico da me preferito, vidi che il regista
si limitava ad accennargli in maniera molto approssimativa che cosa
doveva fare e lui in un attimo si trasformava e riusciva ad evidenziare
ancora di più il suo mento strano. In una pausa, Landolfi mi spinse ad
avvicinarci a Totò. Io ero imbarazzatissimo e dissi a Landolfi che
sicuramente non ci avrebbe nemmeno ascoltati. Ma Landolfi aveva un
"piano"... Mi presentò come il "Barone Peroni" (in un'altra puntata ho descritto questa faccenda...) e Totò mi diede la mano con molta gentilezza e signorilità; io controcambiai chiamandolo Principe
(cosa che sapevo a lui avrebbe fatto piacere...); chiacchierammo così
per un po' di tempo, mi chiese dei particolari sulla mia "nobiltà"
e cercai di essere esauriente e "convincente" (anche se a me la cosa
veramente non mi interessava tanto, ma lo facevo per lui). Durante la
chiacchierata Totò era molto serio, cordialissimo, ma serio. Poi
parlammo di lavoro, ci chiese che cosa facevamo e, quando gli
rispondemmo che noi facevamo dei fumetti, si illuminò in viso e ci disse
"Bravi! Lo sapete che è molto importante riuscire a far ridere?"
Noi balbettammo qualche risposta, ma eravamo veramente confusi,
impacciati. Per fortuna ad un certo punto lo chiamarono per una scena
successiva. Ci salutò con la signorilità di prima ed improvvisamente,
mentre si incamminava verso il set, la sua faccia era cambiata: era tornato ad essere Totò ed aveva smesso i panni del Principe.
(*) Morto
suo padre, il 18 luglio 1945 il Tribunale di Napoli riconosce a Totò il
diritto di fregiarsi dei nomi e dei titoli di Antonio Griffo Focas
Flavio Angelo, Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di
Bisanzio, Altezza Imperiale, Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano
Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di
Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di
Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di
Drivasto e di Durazzo.
(11 - segue)
Gatti o cani?...
Come
ho già detto, negli anni '50 a Roma era bello passeggiare di
sera, anzi... di notte. Molte volte si andava in giro tutto il gruppo di
disegnatori della nostra zona, ma più spesso capitava che andassimo a
passeggio io e Lino Landolfi, anche perché noi due eravamo ancora più vicini di casa: abitavamo pochi metri l'uno dall'altro.
Un
giorno Landolfi mi venne a trovare e mi chiese di uscire un attimo. Non
capii qual era il motivo, comunque lo seguii in strada. Notai che per
tutto il tempo Landolfi aveva giocherellato con un mazzo di chiavi... Il
motivo era proprio lì fuori: una "Topolino" (di seconda mano, ma
molto ben tenuta). Aprì la portiera e mi chiese di salire. La Topolino,
a quei tempi, era una macchina piccolissima, ed economica, anche perché
sia il bollo che il consumo di benzina era minimo. Comunque in quel
periodo ce l'avevano in molti e Landolfi aveva realizzato un sogno:
avere la macchina! Che poi fosse così piccola, poco importava. Così, con
la Topolino, potevamo raggiungere più facilmente il centro di Roma,
dato che la nostra zona era un po' in periferia e quando decidevamo di
andare in centro occorreva prendere dei mezzi pubblici, oppure andarci a
piedi. Ora finalmente potevamo andarci in macchina!
Così quella sera Landolfi passò a prendermi con la macchina. Lui si dava delle arie da "signorotto": "Modestamente ho l'auto"
diceva per scherzo, ma... mica tanto. Landolfi andava fiero della sua
Topolino. Del nostro gruppo era stato il primo ad avere la macchina e ne
era orgoglioso.
Solo che... dentro la Topolino ci si stava veramente
stretti... Ma non importava: sempre meglio che andare con i mezzi
pubblici, no?
Parcheggiata l'auto in una vietta abbastanza vicina al
centro storico, ci avviammo a piedi e chiacchieravamo del più e del
meno, mentre Landolfi seguitava a giocherellare con le chiavi della
macchina come se avesse voluto dire alla gente "Badate che io sono qualcuno, io ho la macchina!"
Non gli dissi niente perché in fondo quello era un po' anche una specie
di giocattolo per lui, e poi non volevo togliergli quella
soddisfazione.
Dopo molto tempo che passeggiavamo, ci accorgemmo che si era fatto "un po' tardi":
erano circa le 4 di notte, anzi... di mattina. Così allungammo un po'
il passo per raggiungere la vietta dove era stata parcheggiata l'auto.
Però, mentre camminavamo, sentivamo uno strano rumore dietro di noi. Non
riuscivamo a capire di cosa si trattasse. Qualcuno ci seguiva? No,
quello non era un rumore di passi. Ma allora? Ci fermammo un attimo e ci
voltammo per guardare. Rimanemmo lì fermi, impietriti: un grosso cane,
un "enorme" pastore tedesco, ci stava seguendo!
Sarà
bene dire che sia io che Landolfi avevamo una paura terribile per i
cani. Io avevo avuto uno shock da piccolo perché mi ero spaventato per
un cane nero che mi aveva abbaiato e mi ricordavo solo che saltai in
braccio a mia madre. Però... mia madre non era proprio in grado di
tranquillizzarmi poiché anche lei aveva paura dei cani... Così, senza
volerlo, mi trasmise questa paura che mi rimase anche da adulto. Quanto a
Landolfi, non mi disse mai il motivo della paura per i cani, so solo
che, quando eravamo a passeggio, ogni volta che incontravamo un cane ci
tremavano le gambe e facevamo sempre una fatica enorme per riuscire ad
allontanarci prima che ci "sbranasse"...
Mentre noi due
osservavamo quella "belva" - senza riuscire a muoverci - ci accorgemmo
che anche il cane si era fermato. Approfittammo per metterci a correre,
ma il rumore delle zampe del cane erano sempre vicino a noi, girammo
varie vie, viette; ci nascondemmo in un portone e poi via di nuovo di
corsa. Ci era sembrato di aver seminato il cane, ma scoprimmo che lui
era ancora lì, vicino a noi che ci guardava con uno sguardo più di
meraviglia che di minaccia. Così riuscimmo a farci coraggio, magari sono
un briciolo, ma almeno riuscivamo ad osservarlo e scoprimmo che aveva
uno sguardo buono, e poi scodinzolava. Comunque restava il fatto che era
un grosso cane... Studiammo un piano: ormai la macchina era distante
solo pochi metri: avremmo spiccato una corsa incredibile, Landolfi
sarebbe entrato nella macchina ed avrebbe aperto subito l'altra
portiera, io sarei salito e via! Infatti, poco dopo eravamo sulla
Topolino, in... salvo. Solo che... il cane era entrato prima di me e si
era subito sistemato nel sedile dietro!
Chi non è mai stato dentro
una Topolino forse non può capire: lì dentro lo spazio era veramente
minimo. Il cane arrivava fin sopra la spalla di Landolfi e toccava con
il muso il parabrezza... Ad ogni modo ci facemmo coraggio e Landolfi
mise in moto dirigendoci verso casa. Durante il viaggio il cane era
calmissimo, noi due un po' meno...
Landolfi disse che per quella
notte avremmo dovuto tenerlo, poi l'indomani avremmo deciso il da farsi.
Però, chi dei due lo avrebbe tenuto per quella notte? Landolfi fece
osservare che io avevo un giardino (pochissimi metri quadrati che noi
chiamavamo "giardino"), quindi era meglio portare il cane da me,
facendolo dormire in giardino. Io non trovai nessuna alternativa e, in
un momento di incoscienza, dissi di sì.
Arrivati davanti a casa mia, io scesi dalla macchina ed il cane mi seguì, come se fosse un gesto fatto da sempre.
Svegliai
mia moglie: lei da piccola aveva avuto dei cani e li conosceva meglio
di noi. Appena mia moglie vide quel cane si rallegrò: era proprio un bel
pastore tedesco e lei amava i pastori tedeschi! Prese il cane, gli aprì
la bocca per vedere in quale stato erano i denti. Noi due osservammo
allibiti: mettere in bocca le mani alla "belva"? Comunque mia
moglie disse subito che il cane era piuttosto giovane e che era, ad un
primo esame, in buona forma. Potevamo tenerlo, però il giorno dopo
occorreva chiamare un veterinario per far fare al cane le iniezioni
obbligatorie perché, non sapendo chi fosse il padrone, non sapevamo se
era in buona salute.
Salutammo Lino Landolfi e ci demmo appuntamento per il giorno dopo.
Però
il cane non ne voleva sapere di dormire in giardino: preferiva dormire
in casa... Evidentemente i padroni lo avevano abituato così.
Mia moglie disse che era meglio così, perché se avesse abbaiato avrebbe svegliato i bambini. I bambini!
Chissà come mai, in quella strana situazione, mi ero completamente che
avevamo tre bambini! (il quarto sarebbe arrivato dopo diversi anni)
Chissà come prenderanno la faccenda del cane...
Ma preferii non pensarci in quel momento ed andai a dormire: ormai eravamo vicini all'alba...
Il
giorno dopo i bambini fecero festa al cane e mia moglie disse ai
bambini che, prima di giocarci, dovevamo aspettare il veterinario e
sentire da lui se era in buona salute e se potevamo tenerlo. Ma loro si
misero subito a cercare un nome da dare al cane. In quel periodo in TV
c'era una trasmissione - arrivata dagli Stati Uniti - di grosso
successo: il "Perry Como Show". Tutti decisero che il cane doveva chiamarsi Perry! Sembrò che quel nome piacesse molto al cane perché scodinzolò ancora di più.
Così,
dopo che il veterinario ci rassicurò sulle condizione di salute del
cane, visto che toccava a me e Landolfi portarlo a passeggio, andammo a
comprare un guinzaglio piuttosto robusto.
Alla prima uscita scoprimmo
che portare a passeggio un cane era un'impresa difficilissima. Tenevamo
il guinzaglio tutti e due assieme, ma Perry tirava come un matto
e non ce la facevamo a tenerlo. La sera dopo facemmo un esperimento:
togliemmo il guinzaglio e gli "ordinammo" di camminare di fianco a noi.
Rimanemmo stupiti perché il cane ci aveva ubbidito!
Noi, alla sera,
quando uscivamo con Perry facevamo sempre la stessa strada: un giro
(abbastanza lungo) degli isolati, ci recavamo nel bar-tabaccheria per
comprare le sigarette, poi tornavamo verso casa, rimettendogli il
guinzaglio quasi davanti al portone: dovevamo far vedere a chi ci
conosceva che noi avevamo rispettato le regole...
Una sera il
tabaccaio regalò a Perry una caramella: il cane riuscì a scartarla e la
mangiò avidamente. Così, la sera seguente Perry camminava vicino a noi
finché ad un certo punto, scattò velocissimo in una corsa pazzesca. Noi
cercammo di stargli dietro, ma inutilmente. Eravamo avviliti: quel cane
era stato con noi solo per un giorno e poi se ne era già andato...
Camminando mestamente perché in fondo ci eravamo affezionati al cane,
piano piano arrivammo dal tabaccaio e trovammo Perry che era proprio lì
dentro e stava in piedi con le zampe appoggiate al bancone. Il tabaccaio
ci disse che evidentemente stava aspettando la caramella, però aveva
preferito aspettare noi per sapere se poteva dargliela. Ovviamente la
risposta fu affermativa e Perry si gustò la sua caramella. Così, tutte
le sere la stessa storia: Perry che correva verso la tabaccheria e ci
aspettava in attesa di poter avere la caramella. Il veterinario ci disse
che le caramelle non fanno bene ai denti dei cani, però non fummo
capaci di negargli quel piccolo "premio" per essersi comportato bene.
Durante il giorno Perry se ne stava "quasi" tranquillo in giardino. Ho detto "quasi" perché in giardino c'era il nostro gatto! I due dovevano aver fatto una specie di patto: "io non scoccio te e tu non scocciare me".
Una volta decisi di preparare una cuccia per cani. Trovai delle assi di
legno, le segai per bene, inchiodai, feci un tetto ed in poco tempo la
cuccia era quasi pronta. Dissi a Perry di entrare nella cuccia. Mentre
Perry stava per entrare nella sua nuova "casa", il gatto fu più veloce di lui e ci si infilò. Se ne stava lì a guardarlo con l'aria di chi dice "io c'ero prima di te, quindi questa cuccia è mia!" Infatti, da quel giorno, Perry non riuscì mai ad entrare nella "sua" cuccia.
Per
i bambini Perry era una specie di giocattolo ed un giorno vidi che
erano saliti in groppa al cane tutti e tre! Li feci scendere subito e
Perry mi guardò come per dire"grazie; anche se sono piccoli, però, essendo in tre, pesano..."
Perry era un cane veramente buono, ma non "stupido":
lo dimostrò in diverse occasioni e, quando era ora di mangiare, lui si
metteva sempre in prima fila ed era difficile fargli capire che il suo
cibo era un po' diverso dal nostro...
Un giorno cercammo Perry, ma
non era in giardino ed in casa nemmeno. Mia moglie scoprì un buco nel
terreno, proprio sotto un muretto divisorio, oltre il quale c'erano i
nostri vicini che, però, dalla parte opposta dava in un prato che non
era recintato. Evidentemente Perry era "scappato" passando da quella
parte! Mia moglie disse che evidentemente, come era arrivato, aveva
deciso di andarsene. Io non ero d'accordo: se aveva scelto noi, ci sarà pur stato un motivo... Così trascorsi una brutta giornata. Però, alla sera Perry riapparve improvvisamente: sembrava "far finta di niente",
ma era abbastanza sporco e si capiva che doveva aver fatto un bel giro;
ovviamente non sapemmo mai dove era andato, ma immaginammo il perché...
Così,
ogni volta noi richiudevamo il buco e lui lo riapriva; ogni volta
cercavamo di chiuderlo con più forza, mettendoci anche sopra degli
oggetti pesanti. Ma tutto inutile: quando decideva di uscire, lo faceva
regolarmente.
Mia moglie, visto che il cane aveva preso
quell'abitudine, fece preparare una medaglia da mettere attaccata al suo
collare. Nella medaglia aveva fatto scrivere il nome del cane, il
nostro nome, il nostro indirizzo e numero di telefono, così, se per caso
si perdesse, qualcuno che lo avesse trovato poteva rintracciarci.
Ma
fu inutile: una sera Perry non fece ritorno. Io lo aspettai a lungo.
Avvertii Landolfi ed assieme ci mettemmo a girare, per le strade che di
solito frequentavamo, seguitando a chiamarlo. Facemmo la stessa cosa
nelle sere seguenti, ma tutto fu inutile: Perry non lo trovammo.
Pensammo che forse qualcuno lo aveva preso, magari per usarlo come cane
da guardia: se fosse stato in buona fede ci avrebbe telefonato, visto
che il cane aveva la medaglietta con tutti i dati..
Io ero a terra e non avevo nemmeno voglia di disegnare: Perry mi mancava. Un giorno mi sfogai realizzando una storia della serie di "Gervasio" (pubblicato a quell'epoca sul settimanale "Jolly") con argomento principale i cani: dopo i gatti avevo scoperto i cani: grazie a Perry, avevo cominciato a "capire" ed amare i cani!
Negli anni '80, abitavamo a Milano e ci capitò un fatto enormemente doloroso: uno dei nostri figli, Roberto,
era andato a New York per trascorrere le vacanze di Natale del 1989 e
capodanno del 1981. Ci sentimmo per telefono a Natale e ci demmo
appuntamento per il seguente capodanno, ma lui non telefonò. Mi telefonò
invece un suo amico per comunicarmi che purtroppo nostro figlio
Roberto... era morto, per una broncopolmonite improvvisa, proprio il
giorno di capodanno.
Non è facile descrivere che cosa mi passò per
la testa in quel momento. Ma cercai di chiarirmi le idee e mi preoccupai
subito per trovare il sistema giusto per poterlo comunicare a mia
moglie. Avvertii mia figlia (che abitava, sempre a Milano, da sola),
assieme studiammo il da farsi e chiamammo il nostro medico ed il nostro
parroco che dovevano "far finta" di essere capitati lì per caso.
Lo so, era una cosa difficile da far credere, però mia moglie, pur
comprendendo che c'era qualcosa di strano, accettò di prendere un
bicchiere d'acqua che il medico le diede: dentro ci aveva messo delle
gocce di un ansiolitico. Alla fine, con estrema delicatezza, riuscimmo a
farle capire che cosa era successo a nostro figlio. Tralascio il
seguito di questa fase di racconto: la perdita di un figlio è una cosa
così grande che può capirla solo chi - purtroppo - lo ha provato. Questa
è la prima volta che racconto pubblicamente questo fatto molto triste
e, chiedo scusa, ma anche in questo momento mi tornano in mente quelle
scene come se il fatto fosse successo ora e rischio di starci ancora
male.
Io mi ero tenuto tutto dentro di me, mi ero preoccupato di mia
moglie e dei miei figli, ma nessuno si era accorto che io non ce la
facevo più: stavo per scoppiare. Ero all'inizio di un fortissimo
esaurimento nervoso. Smisi di lavorare, ma in quel periodo collaboravo
con la Germania dove avevo due periodici ("Sonny" e "Sonny Parade") interamente realizzati da me e dai miei collaboratori (in quel periodo avevamo creato una ditta, la "CPPC"
- Carlo Peroni Produzione Comics). Mio figlio Paolo ricevette una
telefonata dalla redazione tedesca: dicevano che, nonostante tutto,
dovevo consegnare il lavoro come previsto dal contratto; così i tedeschi
mi riportarono bruscamente alla realtà: dovevo fare e consegnare il
lavoro. Lì per lì li odiai, ma poi arrivai al punto di ringraziarli
dentro di me: grazie a quel fatto mi diedi una mossa e mi scrollai di
dosso i miei pensieri tristi, immergendomi completamente nel lavoro.
Qualche
giorno dopo ebbi una discussione con un collega che realizzava
fumetti veristici e lui diceva che noi umoristi eravamo facilitati: "È facile fare dei pupazzi stilizzati; noi invece siamo costretti a studiare l'anatomia, gli ambienti, le ombre..."
Io gli risposi che, a parte il fatto che in passato io avevo realizzato
per diverso tempo anche fumetti veristici (di fantascienza per il "Pioniere" e "Diabolik"),
resta il fatto che i fumetti veristici si possono realizzare con
qualsiasi stato d'animo: si può essere allegri o tristi ed il lavoro
viene fuori lo stesso, ma per chi fa i fumetti umoristici si presuppone
che debba "far ridere": come si fa a far ridere se "dentro"
hai voglia di piangere? È senz'altro molto, ma molto più difficile. Ed
io ho dovuto cercare di fare dei fumetti che facessero ridere proprio
nel momento in cui non avevo assolutamente voglia di ridere. Ma, come si
dice "Lo spettacolo deve continuare...", così riuscii a consegnare in tempo il numero della rivista. Comunque, questo mi aiutò molto a riprendermi.
Ma non basta, nostra figlia un giorno arrivò in casa nostra con un cucciolino di pastore tedesco:
era un regalo per noi! Io credevo di non farcela a tenere quel cane:
avevo sofferto troppo per la perdita di un cane, quando ero a Roma, ed
ora una perdita ancora più grave, quella di un figlio. Nostra figlia ci
disse di tenerlo in casa nostra per una notte e l'indomani avremmo
deciso se lo tenevamo o no.
Beh, posso dire che si chiamava Dago, un bel pastore tedesco di purissima razza e di taglia gigante; rimase felicemente e allegramente con noi per ben 15 anni!
Se
mi capita, magari una volta vi racconto anche di questo cane:
nell'ambiente dei fumetti era conosciuto da tutti! Ma questa è un'altra
storia...
(10 - segue)
Nando il "rosso"
Nella redazione del Vittorioso
c'erano diverse persone, ciascuna con un compito preciso: chi si
interessava di sport, chi della pagina con la collaborazione dei
lettori, chi per articoli scientifici, chi si interessava
dell'impaginazione, ecc. Poi c'era il Red-Cap (così a volte si firmava, ma in effetti era il Redattore Capo) Domenico Volpi, per tutti noi era Menico, ma soprattutto c'era Nando (Ferdinando Marchi, da tutti noi chiamato Nando il "rosso": rosso di capelli e rosso in viso quando si arrabbiava - e si arrabbiava spesso...).
Nando
teneva i contatti con i collaboratori e con la tipografia. La prima
volta che l'ho conosciuto, entrando in redazione lui mi disse di
seguirlo perchè aveva molta fretta: doveva andare in tipografia a
consegnare tutto il materiale per il numero che doveva essere stampato
quella notte. Mi fece salire sulla sua Lambretta (motorino
piuttosto di moda a quell'epoca), mi diede un grosso pacco (con il
numero del Vittorioso) e via, con una corsa pazzesca per le vie, viette,
marciapiedi di Roma, pur di arrivare in tempo per la consegna.
Dopo
molte strillate ai tipografi perchè pretendeva che le cose venissero
fatte come diceva lui e terminate le operazioni di consegna di quel
numero del Vittorioso, mi fece risalire sulla Lambretta e si presentò: "Ciao, io sono Nando. E tu?" "Beh, io sono Peroni, Carlo Peroni... Sono appena arrivato da Milano e..." Fece una brusca frenata che ancora un po' e mi faceva rotolare a terra. "Adesso me lo dici? Ma tu dovresti già essere al lavoro! Lo sai che sei in ritardo?" "Lo so, ma... io non sapevo... credevo... Ecco..."
La
conclusione fu che il suo modo allegro che aveva avuto all'andata era
cambiato: ora era serio, serissimo. Ed il suo viso era diventato ancora
più rosso.
Io avevo collaborato al Vittorioso ed ai suoi albi sempre
con testi firmati da altri; cioè: io studiavo la storia, la sceneggiavo,
la disegnavo e scrivevo a matita i dialoghi. Qualcun altro poi "rimetteva a posto" i miei testi e ci metteva la sua firma: Testi di .... Disegni di Perogatt.
Ad un certo punto cominciai a far capire che sarebbe stata ora che potessi firmare da solo i "miei"
fumetti (anche perchè così avrei potuto incassare qualcosa di più
essendoci anche i testi). Qualche tempo dopo mi chiamò il Red-Cap
Menico, c'era con lui Nando. Mi dissero che stava per nascere un nuovo
settimanale chiamato "Jolly" ed io avrei dovuto metterci Gervasio, un mio personaggio con il quale avevo già realizzato diverse storie (pubblicate su "Capitan Walter");
solo che questa volta avrei dovuto preparare una storia alla settimana
"completamente da solo", cioè con testi e disegni "ufficiali" miei. Mi
chiesero se me la sentivo di prendere quell'impegno. La mia risposta fu
immediata: "Certo!" Nando però mi fece osservare che ora la responsabilità delle storie era tutta mia e mi diede subito una lezioncina di sceneggiatura: "Vedi,
scrivere una storia è facile. Tu fai una vignetta con Gervasio che sta
per entrare in un bar. Nella vignetta dopo Gervasio è all'interno del
bar e si rivolge al barista: 'Mi dia un caffè'. Il barista gli prepara
il caffè. Poi... il resto è facile: vai avanti tu e la storia è presto
fatta! Dai, comincia a lavorare che devi consegnare subito la prima
storia. Buon lavoro!" Nando mi invitò ad uscire dall'ufficio sorridendo: una delle poche volte che l'ho visto sorridere. Beh, grazie alla sua "lezioncina di sceneggiatura"... oggi posso dire di saper realizzare delle storie a fumetti, anche grazie a lui ;-]
Iniziai subito a preparare la prima storia: cambiai subito le caratteristiche principali del personaggio Gervasio e lo feci diventare "allergico al denaro": esattamente l'opposto di Paperon De Paperoni. Fu un successo e realizzai centinaia di storie (in anni più recenti, ne feci molte anche per "Cucciolo" e per il settimanale "Più"). Molti mi hanno chiesto come mi era venuto in mente di far diventare Gervasio "allergico al denaro", la risposta è abbastanza semplice: ero (e sono) un ammiratore delle storie di Paperon De Paperoni della Disney scritte e disegnate da Karl Barks, l'Autore che è riuscito a far diventare più vero Paperino e realizzò molte storie, tutte molto belle ed originali; tra l'altro ho letto più volte che fu lui a creare Paperon De Paperoni.
Inoltre, in quel periodo al Vittorioso cominciavano a ritardare i
pagamenti ai collaboratori, così fra di noi si parlava molto spesso
della scarsità di denaro. Questo fatto mi diede lo spunto per fare un
personaggio che ha moltissimo denaro, ma è allergico e
starnutisce quando ne entra in contatto; però non riesce a disfarsene:
sembra strano, ma la cosa non è poi così facile come può sembrare. L'ho
scoperto realizzando le moltissime storie di questa serie di "Gervasio". Oltre tutto, ogni volta che "sembrava" essere risuscito a disfarsi del suo denaro, gliene ritornava ancora di più. Ogni storia terminava con uno starnuto enorme.
A quell'epoca uscirono molti articoli che riguardavano questo aspetto delle mie storie basate sull'allergia al denaro,
ne parlarono dei sociologi, dei filosofi... Insomma, avevo creato
qualcosa di molto semplice, ma allo stesso tempo assai complesso.
Così,
nei giorni seguenti, ogni volta che dovevo parlare con lui, nella mia
mente vedevo solo i suoi capelli rossi andare a fuoco...
In seguito ne parlai con Jacovitti, nel suo studio, e lui mi disse di stare a guardare. Lì per lì fece la caricatura di Nando,
tutto rosso con le fiamme in testa, ma non la fece su un foglio di
carta, la fece in una vignetta della storia che stava disegnando. Da
quel momento Nando era diventato uno dei "protagonisti" delle sue storie. La cosa mi divertì molto e gli dissi: "Ma dopo lo cancelli e ci fai un altro personaggio, no?" "Neanche per sogno" mi rispose Jac "Tanto Nando non guarda mai i disegni e non se ne accorgerà nemmeno.". Poi mi fece vedere che in quella storia aveva già messo anche la caricatura di Menico, il Red-Cap! Era somigliantissimo: un naso del tutto particolare, ma soprattutto i piedi "arricciati"
all'insù. Infatti Menico ha sempre avuto la caratteristica di avere i
piedi con le punte che salgono leggermente, ma - ovviamente - Jac aveva
esagerato un po', così per ridere... Mentre io osservavo anche quella
caricatura, notavo che Jacovitti, mentre disegnava, mi osservava. Mi
accorsi dopo che ci aveva infilato anche me, con i capelli ricci,
abbondanti ai due lati della testa (ehm... oggi ho in testa solo quattro
o cinque capelli, ma a quei tempi avevo moltissimi capelli e, dato che
erano ricci, mi salivano dai lati). Ma non basta, visto che avevamo
sempre delle discussioni con il cassiere dell'Editrice del Vittorioso che ci ritardava spesso i pagamenti, Jac si vendicò e disegnò anche la sua caricatura: un tizio piccolo, con gli occhiali spessi e dall'aria cattiva. Così da quel giorno su molte storie di Jacovitti apparivano anche alcuni strani... personaggi: Nando, Menico, Peroni e... il cassiere.
Chi ha già avuto modo di leggere delle storie di Jacovitti (non parlo di quelle attuali che sono disegnate - piuttosto bene - da Luca Salvagno, che negli ultimi tempi era un suo aiutante ed ora realizza Cocco Bill
con testi suoi e disegni molto simili a quelli di Jacovitti) si sarà
probabilmente accorto che ogni tanto spuntavano fuori degli strani
personaggi; beh, ora finalmente saprà dove e come sono nati...
A quei tempi collaborava al Vittorioso un disegnatore: Sergio De Simone, un tipo sempre molto calmo e che si firmava semplicemente con un piccolissimo "SD";
questi era un bravo illustratore, gli facevano fare anche molte
campagne pubblicitarie per Il Vittorioso, aveva creato molte testate di
diversi periodici del Vittorioso e dintorni, ma soprattutto era
incaricato di preparare i titoli delle storie a fumetti (che allora si chiamavano "Cineromanzi").
Dato che a quei tempi le storie a fumetti venivano pubblicate
esclusivamente a puntate (di solito due ogni puntata), nella prima
tavola, in alto (a volte sopra tutte e due), c'era il titolo - sempre
ben disegnato e che in qualche modo si richiamava al genere del fumetto
(a volte, sotto, c'era anche il riassunto). De Simone era molto
bravo in questo particolare lavoro (conosciuto da pochi), però era
particolarmente lento nel realizzare i suoi disegni, così
successivamente Nando ogni tanto incaricava anche altri disegnatori: Albe - Alberto Catalani (con il quale ci divertimmo a realizzare alcune storie un po' folli, "stranamente" accettate dalla redazione...) - Alfre - Alfredo Brasioli
(un bravissimo disegnatore, molto scrupoloso circa le documentazioni,
che successivamente ha realizzato anche delle storie molto belle per Il Giornalino) ed io;
a me non piaceva tanto quel lavoro, ma dovevo farlo per tenermi buono
Nando ed evitare che i suoi capelli prendessere fuoco con un mio
eventuale rifiuto... Ci fu un periodo in cui io ero stato incaricato di
fare un piccolo disegno (in copertina, accanto alla testata) per
annunciare le novità di quel numero; io inventai un personaggino con un ciuffo molto lungo
di capelli biondi, ma, chissà perchè, non gli diedi mai un nome... Con
questo personaggino realizzai anche dei poster e dei grandi giochi,
sempre per Il Vittorioso.
Un giorno De Simone entrò nell'ufficio di
Nando; questi, quando lo vide, si infuriò perchè aveva portato i disegni
in ritardo. De Simone non si scompose, mentre Nando strillava, gli
spiegava che i disegni erano comunque lì, sul suo tavolo, no? Ma Nando,
sempre più infuriato, prese un suo disegno e lo strappò: "Ecco cosa ci faccio con i tuoi disegni!" De
Simone, sempre calmo, gli passò un altro disegno che regolarmente Nando
strappò, poi gliene passò un altro, un altro ancora... Insomma, per
diverso tempo ci fu questa scena incredibile: De Simone calmissimo, in
silenzio, passava una serie notevole di disegni a Nando e questi li
strappava uno ad uno e - ovviamente - strillando. Ad un certo punto De
Simone si fermò e Nando: "Beh, ti sei fermato, eh? Hai capito che hai sbagliato, eh?" E De Simone, sempre più calmo: "Veramente sei tu ad aver sbagliato, perchè i disegni che ti ho passato non erano i miei, ma quelli di Jacovitti.".
Nando si fermò allibito a guardare i disegni di una storia di Jacovitti
fatta tutta a pezzi. De Simone fece appena in tempo ad uscire dalla
porta perchè Nando gli stava tirando dietro tutto quello che trovava
sulla sua scrivania.
Noi, che avevamo assistito a quella
spassosissima scena dall'ufficio vicino, eravamo tentati di fare un
grosso applauso a De Simone, ma ci trattenemmo: quel giorno Nando era
molto più infuriato del solito. Chissà perchè...
Dopo diversi anni, quando io fui tornato a Milano ed Il Vittorioso
aveva chiuso da un po' di tempo (di questo fatto - piuttosto triste ed
anche avventuroso - ne parleremo in un'altra puntata), mi chiesi dove
fosse finito Nando. E fui accontentato: lo incontrai in una fiera
a Milano. Ci siamo rivisti, stavolta finalmente da "amici". Mi disse
che era diventato direttore di uno dei più grossi stabilimenti
tipografici italiani. Ci demmo appuntamento ad un'altra occasione, anche
se poi questa "occasione" non si è più verificata...
Io
però mi sono immaginato subito che, con i suoi capelli rossi
fiammeggianti, sicuramente avrebbe prima o poi incendiato - per caso -
tutto lo stabilimento...
(9 - segue)
Miseria o Nobiltà?
C'è stato un momento in cui il lavoro per Il Vittorioso
cominciava a scarseggiare e quasi tutti i collaboratori si davano
da fare per riuscire a trovare qualcos'altro da fare ed arrivarono
anche delle offerte per delle collaborazioni per dei giornali
Inglesi che, tra l'altro, pagavano molto più che in Italia. Però,
per poter ottenere quel lavoro, occorreva prima eseguire delle prove
che, tra l'altro, non andavano quasi mai bene. Ad esempio, mi ricordo
che in una tavola dovevo disegnare una famigliola di animali umanizzati
(non alla Disney, ma dovevano rimanere il più possibile animali:
dicevano che i loro bambini li intendevano in quel modo) che beveva il
te'; mi rimandarono indietro la tavola più volte perchè dicevano che li
avevo disegnati come se fossero animali Italiani e non Inglesi: gli
inglesi non bevono il te' in quel modo! Ho dovuto chiedere in giro,
cercare di documentarmi solo per quella vignetta e mi chiesi alla fine
se valeva la pena fare quel lavoro.
Lino Landolfi, il disegnatore autore del personaggio Procopio
(molto famoso in Italia a quel tempo) aveva anche lui più o meno gli
stessi problemi miei dato che anche lui faceva piuttosto fatica a farsi
accettare delle tavole dove gli Editori Inglesi trovavano sempre
qualcosa da ridire, non tanto dal punto di vista della qualità del
disegno, ma dal fatto che "purtroppo" noi eravamo "solo" Italiani e non
riuscivamo a capire bene i gusti Inglesi... Landolfi mi disse che
avremmo avuto più facilitazioni per lavorare tranquillamente per
l'Inghilterra se avessimo potuto dimostrare di essere dei nobili. "Lì c'è la Monarchia e i nobili sono stimati", diceva. Già, ma noi non lo siamo...
Ma Landolfi ebbe un'idea: "Forse riusciremo a dimostrarlo!..."
Non mi disse subito qual era la sua idea, sapevo solo che per qualche
giorno aveva molto da fare in Vaticano... Landolfi aveva libero accesso
in Vaticano poichè quando era giovane aveva fatto il militare come "Guardia Palatina" che è una specie di Guardia Svizzera,
solo che le Guardie Palatine hanno (o "avevano"? sinceramente non so se
al giorno d'oggi esistono ancora) una divisa un po' più... semplice di
quella delle Guardie Svizzere e poi si trattava di militari italiani
(per la maggior parte romani) mentre è risaputo che per far parte delle
Guardie Svizzere occorre essere come minimo svizzeri...
Mi disse poi che: frequntava una biblioteca che era situata all'interno in un reparto dove poteva fare delle "ricerche Araldiche",
cioè scartabellare degli antichi libri per cercare di risalire ai
nostri antenati. Visto che stava facendo quelle ricerche Araldiche, mi
chiese se volevo che approfittassi per farle fare anche per me, io gli risposi "E perchè no?" Passò diverso tempo ed alla fine mi disse che aveva terminato le ricerche. "Bene", dissi "e allora che titolo nobiliare hai?" "Nessuno..." mi rispose moglio Landolfi. "Ho eseguito tutte le ricerche immaginabili, ma non è saltato fuori proprio niente!" Ma poi aggiunse: "Ah, quasi dimenticavo..." mi consegnò una pergamena "ho scoperto che tu, invece, sei nobile... Sei un Barone!" e, mostrandomi uno stemma disegnato sulla pergamena "Quello è lo stemma nobiliare del tuo casato che potrai usare per lavorare per l'Inghilterra".
Guardai lo stemma dove c'era solo un pero, un semplice albero di pere... Gli dissi che non avrei mai usato quello stemma: fa troppo ridere! Ma lui era serio: "Non ti rendi conto che stai gettando via la possibilità di lavorare per l'Inghilterra?" "Beh...
ecco... forse, tutto sommato... preferisco lavorare per l'Italia:
pagheranno meno, ma almeno so bene quali sono le abitudini di noi
Italiani!"
Così io ripresi il solito lavoro, dimenticando per un po' "il sogno Inglese". Landolfi invece non si era rassegnato e si era dato da fare...
Così un giorno Landolfi chiamò tutti noi del nostro gruppetto di disegnatori vicini di casa (Ruggero Giovannini, Nevio Zeccara, Franco Jacovitti e Carlo Peroni, cioè... io) e disse che ci avrebbe invitati a cena per festeggiare la sua nomina a Duca! "Ma come, non avevi detto che dalle ricerche che hai fatto risultava che non eri nobile?" "Infatti" rispose Landolfi "Però ho conosciuto un Principe Italiano che, in cambio di qualche tavola originale, mi ha nominato Duca!" Ci mostrò una pergamena, autenticata dalla firma del Principe, dove era scritto: "Io sottoscritto, Principe Tal Dei Tali (Non metto qui il vero nome perchè magari esiste ancora oggi, oppure potrebbero leggere queste note dei suoi parenti) nomino Lino Landolfi Duca del Ducato di Le Lande"
(sembra che si tratti di una sperduta zona situata in Francia, ma noi
pensammo subito che molto probabilmente era un nome inventato dal "Principe").
Nel
leggere quelle parole, noi tutti stavamo per scoppiare in una sonora
risata, ma vedendo la faccia seria di Landolfi, ci trattenemmo.
Così quella sera eravamo a cena per festeggiare il "Ducato".
Verso la fine della cena, io tirai fuori una finta pergamena (che avevo
tenuto nascosta fino a quel momento), la aprii e mi apprestai a leggere
con aria solenne: "Ode al Duca. Duca, ode?" E questa mia frase fu seguìta da una sonora pernacchia da parte di tutti noi.
Landolfi rimase allibito, ma poi si convinse che in fondo... quello era proprio un Ducato fasullo e si unì a noi nella risata.
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